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L’atletica a Helsinki cerca l’erede di Lewis

Riccardo Signori

Sognando un Carl Lewis, l’atletica sta lentamente avviando il suo carrozzone verso le frescure di Helsinki. Ventidue anni dopo, i campionati del mondo tornano da dove sono partiti (era il 1983): stesse date, mondo un po’ ingrigito rispetto a quello d’allora. Chi ha più un Carl Lewis sulle orme di Jessie Owens? E dove ritrovare un Edwin Moses? Chissà mai se rivedremo un Sergey Bubka? E perché non aver nostalgia di Marita Koch, di Heite Drechsler, che allora si chiamava Daute, di Mary Decker o di Jarmila Kratochvilova? Per non parlare del nostro giardino nel quale regnavano Pietro Mennea e Alberto Cova, Gabriella Dorio e Maurizio Damilano. Sabato i mondiali si avvieranno guardandosi intorno, cercando dannatamente facce nuove. E contorcendosi nel solito dubbio: doping o non doping?
L’atletica non ha più un leader, un trascinatore, l’uomo o la donna sulla bocca di tutti. Maurice Greene non ce l’ha fatta. Marion Jones si è inabissata. Gli africani sono bravi ma noiosi. Gli europei arrancano. Solo Stefan Holm, saltatore in alto tanto basso da mettere imbarazzo, regala il brivido. Soprattutto perchè tutti si chiedono e si chiederanno anche stavolta: ma come fa? Asafa Powell è stato meraviglioso nella corsa al record del mondo dei 100 metri, ma non deve avere la buona stella dalla sua se, nelle grandi manifestazioni, finisce arrosto. Stavolta l’ha tradito un muscolo e starà a guardare.
In tutto questo la federazione internazionale continua a trastullarsi, godendosi circuiti d’oro che ormai sono stanchi rituali, illuminati da qualche brillio. Andrebbe fatto un monumento (altro che premi!) a Yelena Isinbayeva, la meravigliosa trapezista dell’asta che cerca di cancellare la nostalgia per Sergey Bubka e regala sempre un brivido. Oggi la Isinbayeva è l’unica vera stella del circuito e chissà mai che alla fine non sia la regina di questi mondiali. Justin Gatlin tenterà di essere il contraltare maschile. Sfumata la sfida con Powell, dovrà guardarsi dai tranelli: per esempio per due anni è confermata la regola che punisce la falsa partenza al secondo errore. Gatlin è il campione olimpico e in questa stagione ha dimostrato di esserlo con buona ragione. Lui come altri, per esempio Jeremy Wariner re dei 400 metri che furono di Michael Johnson, continua a promettere un record del mondo. Wariner, il grande treno bianco della gara che porta all’asfissia, è guidato dallo stesso allenatore di MJ. «Proprio grazie alle sue esperienze sono convinto di farcela: vincere il mondiale e scalare il muro di Johnson», ha raccontato. Gatlin dovrà scalare Powell, meno montagna di Michelone Johnson. Ma l’idea è la stessa. E quando si parla di record basta la parola, Isinbayeva, per capirsi. A sua volta Kenenisa Bekele, uno degli africani forse meno noiosi, non si tira mai indietro.
Dunque questi mondiali potrebbero regalare più primati che novità. In tal senso, occhio agli americani che porteranno una squadra lievemente più giovane rispetto a quella dell’Olimpiade (media 26,4 anni contro i 26,9 di Atene) e pescheranno il meglio dei loro atleti dalla California. Quella Usa sarà una squadra giovane e rampante, finalmente allergica al doping tanto da permettere alla sua federazione di fare la proposta che qualche tempo fa neppure si sarebbe sognata, sapendo quel che frullava nei suoi orti: squalifica a vita in caso di prima positività agli steroidi. La Iaaf ha risposto picche (non vuole avere problemi con i tribunali civili, come nel passato), proponendo però di allungare da due a quattro anni la squalifica per la prima positività.
Il doping è già protagonista, prima di cominciare. E ieri il segretario della Iaaf ha lanciato la sua bomba, traducendo al mondo una ovvietà. «Lo scandalo Balco – Tim Montgomery, Kelli White, ecc., ndr – ha rivelato quello che molti sospettavano, ovvero che lo sport è corrotto e minato dal doping organizzato». Lo avevano capito tutti tranne i dirigenti sportivi! Meglio affidarsi ai vecchi indomabili sul campo: da Allen Johnson a Tatyana Lebedeva, da Roma Sebrle a Paula Radcliffe, signora di un’atletica dove c’è posto ancora per sogni un po’ romantici. Dopo aver pianto alla maratona di Atene, Paula, che correrà 10mila e maratona, in questi giorni ha confessato: «Quello che mi è capitato l’anno scorso mi ha reso più affamata, ma sono più rilassata e positiva di quanto fossi allora». Eppoi ci sarà spazio per giovani leoni. Kerron Clement, 19 anni e un grande avvenire nei 400 ostacoli e nei 400 piani, dove ha già battuto il record indoor di Michael Johnson. Allyson Felix, la fidanzata di Gatlin che ha preso le misure a tutti nei 200 metri. O anche Wallace Spearmon, uno che sembra un giocatore di football ma è un siluro nei 200. Ladji Doucourè, francese di colore, freccia dei 110 ostacoli. Infine Usain Bolt, il giamaicano che ha l’età di Andrew Howe ma è più bravo e più veloce.

Tutti loro dovranno dire al mondo di Helsinki che l’atletica del ventiduesimo anno dopo Lewis non è tornata indietro.

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