L’attimo crudele della sentenza tra lacrime, orrori e macumbe

Aula 1, tribunale dei minori di Torino, cinque della sera, freddo cane. Ma che ci fa lei in un posto così, che non gli somiglia per niente? «... e visti gli articoli 442 e 533 del codice penale, si dichiara De Nardo Erika e Favaro Omar colpevoli dei reati loro ascritti, e...». Questione di un attimo e la tua vita prende un altro destino. O si perde per sempre. L’attimo crudele, liberatorio, definitivo della sentenza, dieci secondi, forse meno, nulla dopo sarà più come prima. Erika non capì. O forse solo non ci voleva credere: «Io in prigione non ci vado...» gridò come una bambina, Omar piangeva silenzioso, come uscito da un frontale. Poi guardò i giudici: «La mia vita finisce qui». Un momento per capire come ricominciare, se mai sarà possibile. C’è chi piange, incapace di vedersi assassino, come Annamaria Franzoni: «Ce l’hanno con me, non sono io che ho ucciso Samuele, volete capirlo che non sono io?»; c’è chi non fa una piega come Giovanni Erra, giubbotto scuro, occhiali sottili, capelli corti, ergastolo per l’omicidio Piovanelli: «Aveva la solita faccia, non ha versato una lacrima, non ha detto una parola» disse con ribrezzo Maurizio, il papà di Désiré; c’è chi, come Rina Fort, se la prende con il proprio legale, aggrappata alle sbarre, «Avvocato, si vergogni...». Aveva ucciso la moglie dell’amante e i suoi due bambini a sprangate, uno direttamente sul seggiolone.
Qualcuno raccoglie le parole, mette insieme qualcosa che non sia ancora dolore. «Chiedo scusa alla famiglia...» riuscì solo a dire Ruggero Jucker, ventidue coltellate alla fidanzata, senza alzare gli occhi, i genitori di Alenja e la sorella due metri più in là. «A me viene il vomito, ma perché è la giustizia italiana che mi spaventa» sfogò il terrore Salvatore Ferraro. «Sono tanto amareggiato per ciò che è accaduto, ma non dico nulla per non cadere nella banalità» disse sinceramente imbarazzato Gianfranco Stevanin, il serial killer che di quel minuto, confessò, aveva «una paura fottuta».
Sono seduti sul banco degli imputati ma in realtà stanno in fondo ad una strada che non va da nessuna parte. «Era meglio la pena di morte» furono le parole di Michele Profeta davanti a un ergastolo che gli seppelliva la vita: «Un conto è parlare di morte, un altro è morire». «È una buffonata...» gridò Nicola Sapone, capo delle Bestie di Satana, mentre Eros Monterosso, uno dei suoi, non capiva «Avvocato, ma cos’è successo?», e Marco Zampollo prendeva in giro i giornalisti «Non statemi così vicino altrimenti vi faccio un voodoo... ». Qualcuno, dicono, ora si è avvicinato a Gesù.
Non tutti ce la fanno a reggere un attimo. Luigi Chiatti, il mostro di Foligno, preferì non farsi vedere in aula, Maurizio Minghella aspettò quell’attimo in una guardina del Palazzo di giustizia di Genova, «È dura, questa è veramente dura», Donato Bilancia, l’ascoltò alla tv nel carcere di Chiavari, nervoso come non era stato mai. Anche Maria Filomena Sica e Annamaria Botticelli non si presentarono in aula. C’era la mamma di Nadia Roccia però, i poliziotti la portarono via a braccia: «Dovevano uccidere anche voi assassine bastarde» urlò a un banco vuoto. Patrizia Gucci se la prese con tutti: «È inutile che stia qui, tanto non vedo quale serenità ci sia in un giudice che già ha deciso la mia fine».
Sbruffoni anche. O forse solo spaventati.

Maso si presentò elegantissimo, giacca e foulard, ascoltò a testa bassa, poi si congratulò con il legale: «Sono soddisfatto, grazie avvocato». Angelo Izzo salutò invece i giornalisti: «Non sono affatto deluso. Vedrete, ci rifaremo in appello». Un attimo ancora, per chi credeva di potere tutto. E adesso non è più niente.

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