L’economia Usa «sgonfia» le Borse

da Milano

I future sui Fed Fund sono tornati ieri a segnalare il 100% di possibilità di un taglio dei tassi Usa in occasione della riunione della banca centrale guidata da Ben Bernanke, il prossimo 8 marzo. Ma questa volta, i mercati finanziari non hanno salutato con favore la notizia. Perché il convergere delle attese su un nuovo allentamento del costo del denaro, presumibilmente nella misura di mezzo punto, è il frutto del pessimo stato di salute della locomotiva a stelle e strisce. A confermarlo, sono stati ieri due indicatori chiave come il Superindice (una sorta di barometro che misura le prospettive a sei mesi dell’economia) e il Philly Fed, l’indice dell’attività manifatturiera nell’area di Philadelphia.
Il primo ha accusato una contrazione in gennaio dello 0,1%; si tratta del quarto calo consecutivo, che porta al 2% la flessione registrata nell’ultimo semestre e fa accendere sul quadro di comando la spia rossa della recessione. Non più confortante l’indice calcolato dalla Fed di Philadelphia, che in febbraio ha segnato un calo a meno 24 dai meno 20,9 punti di gennaio. Nella sostanza, l’indice è sceso ai livelli più bassi dai tempi dell’ultima recessione negli Usa e ha mostrato una contrazione dell’attività per il terzo mese di fila confermando che le imprese stanno riducendo il ritmo per adeguarsi al rallentamento economico degli Usa.
I venti di crisi continuano insomma a soffiare sull’America e a condizionare l’andamento delle Borse. I rialzi corposi messi a segno dai listini europei nella prima parte della seduta si sono infatti sgonfiati nel pomeriggio, con Piazza Affari costretta a incassare un modesto più 0,31%. Meglio Parigi, Amsterdam e Zurigo, in progresso di oltre un punto percentuale, mentre Francoforte ha chiuso sostanzialmente invariata e Wall Street, a un’ora dalla chiusura, cedeva lo 0,8% circa.
Tra gli analisti e sui mercati ci si comincia tra l’altro a interrogare se l’America, più che in recessione, non stia finendo nelle sabbie mobili della stagflazione, mix terribile composto da contrazione della crescita e da un’inflazione crescente.

È uno scenario, peraltro, alimentato dai picchi toccati dalle quotazioni petrolifere negli ultimi giorni e, in qualche misura, anche dalla stessa Fed, che nelle minute dell’ultima riunione ha ridotto le stime di crescita 2008 e, contestualmente, alzato quelle relative all’inflazione. Il problema è che la stagflazione permette di curare solo uno dei due mali: l’inflazione, alzando i tassi; oppure la crescita negativa, abbassandoli. In ogni caso, un bel rompicapo per Bernanke.

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