L’economista del Bangladesh è l'inventore del sistema del microcredito, basato su prestiti senza garanzie agli indigenti per aiutarli a creare piccole attività Nobel per la pace al «banchiere dei poveri» Muhammad Yunus, premiato assieme alla sua Gram

La motivazione: «Ha tradotto ideali in azioni concrete per il bene di milioni di persone»

Guido Mattioni

da Milano

Quando glielo hanno comunicato, non voleva crederci. «Sono felicissimo, davvero felicissimo», ha continuato a ripetere scuotendo la testa, strattonato dai più stretti collaboratori nella sua casa di Dacca. Aggiungendo poi, frastornato: «Voi sostenete il sogno di un mondo libero dalla povertà». Ed è proprio quel sogno divenuto realtà che i «Voi» in questione, ovvero gli accademici di Oslo, hanno voluto onorare attribuendo ex aequo il Nobel per la pace 2006 proprio a lui, l’economista Muhammad Yunus, e alla sua creatura, la Grameen Bank.
Il sogno di Yunus, ex docente di economia nato 66 anni fa nel Bengala Orientale e specializzatosi poi negli Stati Uniti, era iniziato nel 1976 in Bangladesh, con l’apertura del primo sportello della Grameen. L’idea di business era semplice, ma anche apparentemente folle, proprio come riescono a esserlo soltanto i sogni: prestare piccole cifre di denaro - quello che da allora è stato battezzato «microcredito» - ai poveri del Terzo Mondo per trasformarli in imprenditori anch’essi senz’altro «micro», ma dando così loro la possibilità di riscattarsi dalle proprie miserabili condizioni di vita. E quella follia, a dispetto degli scettici, è divenuta negli anni una concreta realtà che attraverso 1.048 filiali attive in 35mila villaggi di 60 Paesi sottosviluppati serve oggi milioni di utenti. Proprio quei poveri, i destinatari dei prestiti, che sono diventati via via gli azionisti della Grameen, la banchetta rurale nata in uno dei Paesi più miseri del mondo e che adesso viene studiata e imitata anche dai signori della World Bank.
Yunus, che ha raccontato il suo sogno avverato in un’autobiografia di grande successo intitolata Il banchiere dei poveri (edita in Italia da Feltrinelli), ha già annunciato l’intenzione di donare la sua personale metà del milione di dollari del premio Nobel in beneficenza. Per realizzare quelle che ha definito «cause giuste». Una parte sarà così destinata alla costituzione di una società no-profit, la Social business enterprise, specializzata nella produzione e vendita di cibo a basso costo e ad alto valore nutrizionale, mentre l’altra finanzierà la costruzione di un ospedale specializzato nella cura delle gravi affezioni agli occhi che affliggono le popolazioni del Terzo Mondo.
Non a caso il Comitato del Nobel ha motivato la propria decisione sostenendo che «Yunus ha dimostrato di essere un leader in grado di tradurre visioni in azione concreta per il bene di milioni di persone» dato che «non si può ottenere una pace duratura se ampie fasce della popolazione non trovano strumenti per rompere il ciclo della povertà». Lui c’è riuscito (facendo arrossire gli ambiziosi quanto inutili e dispersivi progetti plurimiliardari in dollari degli aiuti stranieri al Terzo Mondo) respingendo l’assistenzialismo e accordando invece prestiti dai 25 ai 100 dollari a gruppi (spesso di donne) per avviare degli ancorché minimi progetti imprenditoriali. Miracoli divenuti così realtà per 12 milioni di persone, il 10% della popolazione del Bangladesh. «Basta un prestito di 15 dollari per portare una persona sopra la soglia della povertà», ha sempre ripetuto Yunus insistendo sul fatto che «devi avere il primo dollaro per poterne fare un altro».
Certo non lo potevano aggiungere, i professori di Oslo, tenuti come sono a una prosa accademica - par loro - nel redigere le motivazioni.

Ma a ben vedere Yunus e il suo così insolito istituto di credito un altro merito ce l’hanno, soprattutto agli occhi di chi, come noi occidentali, è abituato a combattere ogni giorno contro i disservizi e le vessazioni dei propri istituti di credito. E il merito è quello di aver tramutato in espressione di senso compiuto quella che invece suona alle nostre orecchie quasi come un ossimoro, una contraddizione in termini: «banca etica».

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