Per quasi mezzo secolo Achille Boroli, il patriarca della De Agostini, ha caratterizzato con la sua personalità ed il suo stile, le vicende dellazienda e, in larga misura, quelle di tutta la dinastia.
La sua formula era semplice: tutti i componenti della grande famiglia - fratelli, figli, nipoti, cugini - dovevano guidare lazienda, lavorando duramente in posizioni di comando. Una concezione di vita quasi monacale, che escludeva qualsiasi esposizione mondana o mediatica: invano avreste cercato negli archivi dei giornali un dossier dedicato alle famiglie Boroli. Secondo una legge non scritta, il successo doveva essere avvolto in soffici coltri di nebbia, come quelle che avvolgevano le pianure del Novarese. E così fu per molti anni.
Assunta nel dopoguerra la presidenza di questa media azienda cartografica che il padre ed il socio Cesare Rossi avevano acquistato nel 1916 dallAbate Giovanni De Agostini, Achille Boroli acquisì con i fratelli lintera quota e rapidamente la trasformò. Alle tradizionali carte geografiche aggiunse libri, dispense collezionabili, dischi, videocassette, stampati in offset, in rotocalco, in tipografia. La fece crescere in Italia e allestero, dalla Francia agli Stati Uniti, dalla Spagna al Giappone, fino a farla diventare la terza azienda editoriale italiana dopo la Mondadori e la Rizzoli. Con migliaia di dipendenti e bilanci solidamente attivi.
Un ruolo molto importante ha sempre avuto nella sua vita una donna colta e sensibile come la moglie Giulia, che gli ha dato sei figli e gli è sempre stata vicina nei momenti di gioia, con i raid sui mari, e in quelli difficili, come quando fu rapita la figlia Marcella, poi liberata dalla Polizia: furono due mesi di angoscia.
Il loro castello di Barengo nel Novarese era aperto solo a pochi, selezionati amici, come Oscar Luigi Scalfaro, prima, come Montanelli, poi. Achille Boroli era di natura appartato e riservato ma venne un momento in cui intuì che non era più possibile restare in disparte, estraneo alla vita pubblica. Erano gli anni dopo il 68, quando il Pci aveva superato il 34 per cento dei voti, ed era esploso il fenomeno del terrorismo: cera chi fuggiva allestero, chi aveva paura e chi aveva coraggio. Boroli aveva coraggio e la nascita de il Giornale fu levento che lo convinse ad uscire da Novara e ad impegnarsi per aiutare quel manipolo di visionari nella loro difficile impresa, che ebbe tuttavia dimensioni e risonanze nazionali. Lui e Silvio Berlusconi furono i primi - e unici - a credere a viso aperto ne il Giornale. Entrato nel Consiglio di Amministrazione, Boroli vi rimase per ventanni, da tutti stimato ed amato, prezioso per i consigli che nascevano da una ineguagliabile saggezza ed esperienza.
Nel 1976, senza apparire comera nel suo costume, fu uno dei promotori dellAlleanza Laica, che si proponeva lunione dei tre partiti laici: liberali, repubblicani e socialdemocratici. Uniti, i tre si presentarono alle elezioni politiche in tre collegi senatoriali: ne vinsero due, persero il terzo per pochi voti. Le sue idee - liberali - vengono difese e diffuse da una Fondazione che porta il nome suo e della moglie.
Nel 1986, dopo quarantanni di unattività premiata da risultati di straordinaria rilevanza, Achille Boroli cedette la Presidenza, che venne assunta prima dal fratello Adolfo e poi dal nipote Marco Drago, che gli erano sempre stati al fianco, ma mantenne la Presidenza Onoraria. Lasciava unazienda sana, solida, con riserve importanti, pronta a fare un nuovo balzo di qualità.
Duramente colpito dalla morte della moglie, ha passato gli ultimi anni in Costa Azzurra, per restare vicino a quella che era sempre stata la grande passione della sua vita: il mare. E ha continuato a fare opere di bene. In silenzio e con discrezione, comera nel suo stile. Così è finita la vita di un uomo vero.
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