L’enigma è dentro di noi

Il mistero del mitico animale che nessuno riuscirà mai a svelare

Caprienigma 2006, convegno interdisciplinare sulla Chimera, un guazzabuglio di forme e suggestioni emerso da tenebrose antichità. Gli organizzatori dispongono non solo dei dotti contributi di letterati e semiotici, di scienziati e informatici, ma anche di un tavolino a tre gambe, una radio medianica per contattare i trapassati.
È una pia illusione, lo sappiamo bene, una chimera. Ma, dato che siamo in tema, fantastichiamoci sopra. La prima comunicazione è firmata Lucrezio, poeta visionario latino del I secolo a. C.: psicologo atomista, cercherà di chiarirci, dottrina epicurea alla mano, come si forma la chimera nell'immaginazione umana, dato che in natura - e la fede del laico Lucrezio nella natura è marmorea - l'esperienza conferma che non esiste un fenomeno come lei, testa di leone, mezza capra che folleggia sul dorso, un serpente per coda. Ogni essere vivente emette atomi, spiega Lucrezio. Larve impalpabili, ragnatele nucleari, foglie d'oro infinitesimali che si librano nell'atmosfera, si scompongono e riuniscono in spettri illusori. Fanno fibrillare gli atomi dei nostri sensi, quelli più aerei e vibranti della mente, e creano immagini, di sogno o di visione.
Centauri, Scille, Meduse e Chimere sono combinazioni atomiche del caso: tutto qui. Ma ecco prendere la parola Esiodo, un teologo greco di sei secoli più vetusto di Lucrezio. Altro che fantoccio onirico: Chimera ha un pedigree di rispetto, che giustifica il suo temperamento focoso e bizzarro. Il padre è Tifone, un colosso brutale che con la testa spazza via le stelle, e quando allarga le braccia tocca con le mani draghiformi l'oriente e l'occidente. Echidna, la Vipera, è la poco raccomandabile mamma: occhi seducenti di ninfa eternamente ragazza, pelle luminosa, ma spire e squame al posto delle gambe e una propensione a partorire mostri, Cerbero, cane con tre gole a guardia dell'inferno, l'Idra di Lerna, una specie di tirannosauro con sette teste fiammeggianti. Echidna latita in caverne fuorimano, le labbra stupende sempre rosse di sangue crudo, preferibilmente umano. Da lei la Chimera eredita la riserva ignea (è la sua porzione caprina a eruttarla contro i nemici) e la maliosa potenza di idolo sfuggente, di fantasma che invaghisce e travolge con la sua assenza.
Ce n'è abbastanza per buttare giù la sceneggiatura di una canzone di gesta, un polpettone epico. Ci pensa Omero, lo specialista. E il suo intervento in spirito sono gli esametri cesellati sul precursore di tutti i San Giorgio, i San Michele in lizza con draghi maligni: si tratta di Bellerofonte, puro eroe, che in sella a Pègaso, puledro volante, annienta la Chimera a colpi di lancia. È un medaglione dell'Iliade, ma eruditi e mitografi posteriori, sempre pronti a mettere i puntini sulle «i», specificano che l'impresa incluse dettagli tecnici più complessi. Su progetto della scaltra Atena, Bellerofonte modificò la punta della sua arma. Il bronzo della lama originale non avrebbe neppure scalfito la scorza micidiale dell'avversaria. Il guerriero la sostituì con una massa di piombo. Il fuoco alitato dalla bestia fuse il metallo, che la trafisse con proiettili a incandescenza, i prototipi degli spezzoni incendiari.
Come a dire che l'ingegno e l'inventiva umane l'hanno sempre vinta sulla ferocia primordiale. La Chimera sconfigge se stessa. La lucidità dell'uomo che trionfa sulle ferine foschie del male. A questo punto, ha da dire la sua Pausania, un relatore esperto in monumenti e tracce di civiltà, autore di una guida della Grecia per turisti che nulla lasciano al caso, ma vogliono capire il carattere dei luoghi. A Epidauro, gemma architettonica del Peloponneso, sorge il santuario di Asclepio, il dio della medicina, che nel suo giro in corsia nel tempio-clinica si fa assistere da infermiere d'eccezione, Panacea e Igea, oltre che dal Serpente, un luminare in veleni terapeutici. Sul suo trono d'avorio, gli artisti hanno effigiato in simboli la lotta dell'uomo contro l'oscurità del male: gli Argonauti che strappano il vello d'oro al rettile, Perseo che decapita la venefica Medusa e, c'era da aspettarselo, Bellerofonte che fa fuori Chimera, incubo malato.
Malattia, deviazione, perversione, ma non del corpo. Dell'anima, invece: lo illustra Platone, firma di spicco del convegno. Se ne intende, di simboli. Ne ha fabbricato cattedrali, pagine trionfali in cui giganteggiano lo spirito dell'uomo, l'idea, la perennità del pensiero. Nella sua Repubblica la Chimera è l'immagine di un impasto bestiale, impulsi di avidità, egoismo, tirannia che fervono nell'intimo, e sotto l'involucro illusoriamente unitario di un uomo celano il vero cancro della comunità e dello stato, l'individuo ingiusto, colui che all'equilibrio, all'armonia con il tutto politico antepone il dissennato sé, la prospettiva miope e distruttiva del piacere, del guadagno, del dominio personale. Il leone è la statua della superbia, la capra della lussuria ignorante, il serpente della malizia che colpisce da dietro, alle spalle.
Una macedonia di sconcezze che riaffiorerà, secoli dopo, nel bestiario medioevale di Dante, alle prese con la selva oscura, sotto spoglie figurali diverse e scomposte ma, nella sostanza, identiche: il tracotante leone, la famelica lupa, l'insidiosa fiera dalla gaietta pelle. La chimerica giornata è chiusa da Socrate che, sorridendo a modo suo, parlando a braccio, ci riferisce di una chiacchierata con l'amico Fedro, nella frescura del parco di Atene.

La Chimera? È un rompicapo troppo astruso per lui: ne parlino quelli ferrati nel ramo, simbolisti ed ermeneuti sempre pronti a sfornare teorie. Lui, Socrate, ha solo da dire che la più indecifrabile chimera non è là fuori, nei deserti o nelle giungle del mito: è dentro, confitta in ciascuno di noi. Perciò il saggio un unico enigma deve scandagliare: se stesso.

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