L’Epo sperimentato per combattere la Sla I ricercatori del Besta: piccolo passo avanti

Una ricerca finanziata dall’Istituto Carlo Besta riapre la partita nella lotta alla sclerosi laterale amiotrofica. La fondazione milanese ha investito un milione di euro per indagare gli effetti sui malati di Sla dell’eritropoietina, definita comunemente Epo. Con uno studio pilota basato su 23 pazienti appena concluso positivamente e una ricerca più impegnativa, cui parteciperanno 150 malati, che partirà il primo ottobre. L’obiettivo è individuare una terapia per la grave malattia neurodegenerativa che ogni anno nel mondo colpisce tre persone ogni 100mila e che in Italia affligge 4mila malati. Come ha illustrato il responsabile della ricerca, Giuseppe Lauria, dell’unità operativa Malattie neuromuscolari diretta da Renato Mantegazza, «a oggi non esistono farmaci per interrompere la Sla, ma solo per rallentarla. Per questo abbiamo testato per due anni gli effetti dell’Epo su 12 pazienti, di cui otto sono sopravvissuti senza bisogno di tracheotomia. Mentre degli 11 malati tenuti sotto osservazione senza Epo, otto sono morti o hanno avuto gravi problemi respiratori». E ha aggiunto il presidente della fondazione Besta, Alessandro Moneta: «Contro la Sla non ci sono formule magiche, ma i primi risultati ci fanno pensare che la strada intrapresa sia seria. E dunque da ottobre partiremo con la seconda fase, per la quale è già stato stanziato il finanziamento completo». Anche se, come ha precisato il direttore scientifico, Ferdinando Cornelio, «il milione di euro già disponibile potrà essere incrementato fino al 40% grazie al contributo di ministero, fondazioni, istituzioni e privati». Mentre per Mario Melazzini, ematologo ammalato di Sla da oltre sei anni, «il fatto che in Italia esistano gruppi di ricerca validi come quello del dottor Lauria mi rende ottimista. Lo studio è stato realizzato con serietà e appropriatezza, valutando eventuali effetti collaterali dell’Epo che per fortuna non si sono verificati. Quello che viene dal Besta è un segnale forte.

Non è ancora la terapia per la Sla, ma un passo che ci fa ben sperare nel fatto che possano esserci risultati concreti. E la speranza è fondamentale in quanto per lo studioso è uno strumento di ricerca, per il medico un mezzo di cura e per i malati è il futuro».

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