L’eroe maledetto che diventò ciò che interpretava

Moriva cinquant’anni fa in un incidente d’auto l’attore che con solo tre film è entrato nell’Olimpo di Hollywood. Fu la sua precoce scomparsa a enfatizzarne la leggenda

L’eroe maledetto che diventò  ciò che interpretava

«È il mio eroe prediletto, così forte e delicato, il fiore più riuscito e insieme il più caduco del mondo degli eroi, “nato per breve tempo”, come dice Omero, e proprio per questo così bello».
In queste poche parole, scritte nel 1799 dal grande poeta Friedrich Hölderlin a proposito di Achille, è espresso tutto il fascino che esercitano su di noi quei personaggi, storici o immaginari, segnati da gloria fulminea e vita breve, o comunque consumata intensamente. Ne fanno parte Achille, appunto, e poi Leonida spartano, Alessandro Magno, Giovanna d’Arco, Giovanni delle Bande Nere, fino alla grande industria romantica e post-romantica dell’eroe giovane e bello, cui si aggiunge un segno di maledizione: da Arthur Rimbaud a Jim Morrison, da Janis Joplin a Che Guevara fino a Kurt Cobain. A questa schiera appartiene, a diritto, James Dean.
In molti di questi personaggi è presente il simbolo del fuoco. Da Una stagione all’inferno di Rimbaud a Gioventù bruciata con James Dean a Light my Fire, che è la canzone più celebre dei Doors di Jim Morrison. Anche l’impresa di Alessandro Magno (che, pure, morì per acqua), è segnata nel nostro immaginario dai roghi umani di chi sceglieva la morte pur di non cadere in mani nemiche. Il fuoco evoca l’immagine dell’abbraccio mortale, della consumazione atroce e rapida. Tutta l’opera dei poeti «maledetti» è pervasa - lo sono persino le loro immagini fotografiche - da una specie di febbre.
Niente è terribile per il nostro cuore come la morte di un giovane. Morendo, egli rende definitivi i propri scarsi dolori: un torto subito, anche piccolo, diventa insopportabile se chi l’ha subito se ne va senza averlo non dico ripagato ma digerito per l’azione del tempo, che tutto scolora.
Per quanto riguarda il mito di James Dean, che si basa su tre film e sulle circostanze della sua morte, gli ingredienti principali mi sembrano essere due: la sua faccia dai tratti ravvicinati (non lo si può certo definire esattamente bello, e se, anzi, qualcuno dice che aveva la faccia da scemo non ha tutti i torti) che lo apparenta a un bambino, suggerendo un’idea di innocenza intangibile a dispetto di qualsiasi eccesso; la consonanza tra i film che interpretò e la vita che visse fino alla morte: in altre parole, l’abolizione (di marca tutta decadente) del limite che separa l'arte dalla vita.
Innocenza (anche nel vizio) e parità tra arte e vita: ecco i tratti salienti dell’eroe giovane e bello, che James Dean incarna. I francesi usano un’espressione sintetica: enfant gâté, bambino guasto. James Dean ci appare, insomma, come un individuo predestinato a realizzare, tragicamente, ciò che interpretava nella finzione. Fu un caso fortunato, che in seguito l’industria americana ha provato a ripetere, con attori anche migliori di Dean (da Montgomery Clift a Leo DiCaprio), ma senza riuscirci.
Che l’arte non sia solo questo, be’, per fortuna. Già tra i decadenti c’era chi non si prendeva così sul serio, vedi il divino Oscar Wilde.
Non solo. Ci sono artisti morti in gioventù che, forse, si sono salvati da questa febbrile consacrazione grazie alla grandezza della loro arte. Penso, ad esempio, a Jimi Hendrix o a Jean-Michel Basquiat, o ancora a Keith Haring.
Benché eccessivo nella vita e prematuramente scomparso a causa di questi eccessi, Hendrix ci offre l’immagine di un artista adulto, impegnato in una ricerca oggettiva e con risultati estetici che appartengono non solo alla storia del costume o delle mode giovanili, ma a quella della musica (pensiamo solo all’inno americano che eseguì a Woodstock).
Allo stesso modo Basquiat, morto giovanissimo in circostanze simili a quelle di Hendrix, evoca in noi soprattutto un’idea di lavoro metodico e continuo - ossia del raggiungimento di una dimensione adulta del fare arte, che può non coincidere con una dimensione adulta della vita.


Questi personaggi ripristinano, insomma, una distanza tra arte e vita, che a noi pare la via più sana per chi voglia intraprendere questa via: anche perché i veri «maledetti» sono pochi, mentre il mercato è pieno di maledetti impostori.

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