L’eroico Moresco in perpetua lotta con il mondo crudele

A rigore di termini sono tutti moralmente morti, i destinatari delle Lettere a nessuno di Antonio Moresco (Einaudi). Tutti, come in Pinocchio gli inquilini di una certa casetta nel bosco o in Joyce gli irlandesi sepolti dalla neve. Solo che, trattandosi di lettere comunque recapitate, sembra anche di essere precipitati in un film di zombies divisi in due categorie. Ci sono quelli che vorrebbero aiutare Moresco, per esempio pubblicandogli un libro, ma non possono perché non hanno abbastanza potere. E quelli che potrebbero aiutarlo, ma non vogliono. Zombie il critico letterario che apprezza ma apprezza e basta, zombie l’editor che si complimenta per l’ambizione del progetto ma non dà il via libera alla pubblicazione, zombie l’amico scrittore che da un giorno all’altro, gettatasi alle spalle la deontologia professionale, si trasforma nel manager di se stesso e rinuncia ad essere un possibile alleato. Va da sé che tutto ciò non è normale. Si può ammettere che per una casa editrice riuscire a pubblicare un grande scrittore smetta di essere un successo e diventi un rischio da evitare; ma allora dovremmo considerare normale anche un’automobile che marcia bruciando gas di scarico ed espellendo benzina. Quindi o l’Italia è il mondo a testa in giù, o Moresco non è un grande scrittore. Eppure, qualunque sia la risposta, ci sono due cose che commuovono in questo volume di oltre 700 pagine. La prefazione «disturbata», da minore: un cocktail fatto per metà di Pasolini e per metà di Carmelo Bene.

E l’appello in quarta di copertina alla purezza («Ma la purezza è impossibile, intollerabile, è intollerabile anche solo sentirne ancora parlare, in questa epoca! È una parola di destra»). Come se chi ha sete di purezza andasse poi a purificarsi in un bordello. La purezza? A questo punto la si cercherà dappertutto, tranne che nella letteratura.

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