di Ferruccio Repetti
Le foibe? Mai esistite. Il massacro della popolazione italiana di Istria, Venezia Giulia e Dalmazia, durante e dopo la Seconda Guerra mondiale? Un episodio come un altro, nella storia dellumanità. E allora la shoah, lo sterminio degli ebrei operato dai nazisti? Uninvenzione, o, al massimo, unesagerazione delle proporzioni. Lo sostiene, sostanzialmente, anche uno storico come Sergio Romano, nella sua «Lettera a un amico ebreo», dove afferma che la shoah, lo sterminio degli ebrei, è stato ed è tuttora un fatto largamente sopravvalutato. Di più: il Novecento è un secolo di massacri e di genocidi, ma non tutti questi genocidi hanno, agli occhi della pubblica opinione, la stessa importanza.
«Quello degli ebrei - spiega ancora Romano - occupa nellimmaginazione collettiva del mondo occidentale uno spazio dominante. Mentre il ricordo degli altri impallidisce e si appanna, lolocausto continua ad agitare le coscienze e a suscitare linteresse degli studiosi».
Insomma, par di capire, semplicisticamente: il revisionismo è lecito, il negazionismo lo è altrettanto, se non di più. Anche perché, ad abbracciare queste tesi, sono esponenti di una cultura che si definirebbe «trasversale», pensatori di destra e di sinistra. Basti pensare al comunista Amadeo Bordiga, che riferendosi alla shoah sentenziava: «Uno sterminio come altri, il capitalismo ha fatto più morti». O un certo Ernst Nolte che - scrive Nicolò Scialfa nel suo saggio «Lo sterminio degli ebrei e la voglia di dimenticare», Sovera Editore - «legava nazismo, bolscevismo e fascismo in ununica categoria che ne potesse spiegare le somiglianze», tanto che «lo sterminio degli ebrei non è che un capitolo nella storia dei massacri e dei genocidi che hanno segnato il secolo scorso». In questo senso, aggiunge Scialfa, «Nolte afferma che i crimini nazisti non sono affatto unici ed incomparabili, ma soltanto un capitolo di una storia che nel ventesimo secolo ha visto molti altri episodi dello stesso tipo, ad esempio lo sterminio degli Armeni». Senza dimenticare - e Scialfa non lo dimentica - quello che viene considerato come uno dei padri riconosciuti del negazionismo, Paul Rassinier, comunista, poi socialista, pacifista, resistente, arrestato dalla Gestapo nel 1943, torturato, deportato a Buchenwald e Dora, invalido al 95 per cento a causa della deportazione. Rassinier era antisemita e convinto che esistesse un complotto ebraico internazionale, ed è stato il primo a ridimensionare le cifre dello sterminio.
Vengono in mente, fosse solo per reazione emotiva, le pagine di «Terre di sangue», il più recente volume dello storico americano Timothy Snyder (Rizzoli Editore): parlano degli abomini tedeschi e citano «episodi spaventosi - chiosa Mario Cervi - che dimostrano la lucida e paranoica volontà dei capi di eliminare un popolo associata alla bieca efficienza di docili esecutori. Ma nelle rievocazioni dellOlocausto - aggiunge ancora Cervi - questa bestialità dei giustizieri, dovunque fosse esercitata, ha trovato menzione ed ha avuto unampia documentazione, trovata oltretutto nei campi di concentramento e di strage, come Auschwitz, caduti a fine guerra nelle mani dei vincitori».
E allora, par di capire anche qui: perché negare, che senso ha negare? Scialfa, che si riconosce innanzi tutto come «storico delle idee», non solo non ci sta, ma prende nettamente le distanze da concezioni, visioni, interpretazioni della storia che negano unevidenza: «Negare o anche soltanto mettere in discussione ciò che non ha bisogno di essere provato perché è stato provato da circa sei milioni di esseri umani è una forma di analfabetismo morale». Par di capire: indipendentemente dallautorevolezza o dalla collocazione politico-ideologica degli autori delle tesi. «La cosa sconcertante - ribadisce il saggio di Scialfa - è che queste tesi vengono sostenute non solo dalla destra neonazista o dagli anticomunisti di estrema destra, ma anche da alcuni antisionisti marxisti, da alcuni stalinisti e persino da qualche pacifista libertario». Insiste lautore, già ordinario di Storia e Filosofia nei licei e dirigente scolastico (e sempre in prima fila, dalla cattedra, per far riflettere criticamente giovani e meno giovani, anche su ciò che non hanno visto o vissuto di persona): «La shoah è un evento senza testimoni, nel duplice senso che di essa è impossibile testimoniare a causa dellassenza di voci. Chi è morto non può parlare e chi è rimasto vivo non ha voce e sceglie il silenzio. Chi vuole ascoltare la testimonianza della shoah deve ascoltare il non-detto, deve ascoltare la voce della propria coscienza e sentire la colpa metafisica».
Disponibilità non facile da attuarsi, se non da parte di una coscienza libera da sovrastrutture ideologiche, acritiche, inossidabili. Vale per la shoah, vale anche per le foibe che solo più di recente sono state oggetto di riconsiderazione e di revisione, dopo che il «revisionismo» e il «negazionismo» ne hanno negato persino lesistenza.
Ma sono proprio loro, cioè «quanti oggi sostengono di voler essere revisionisti perché in questoperazione consiste il lavoro dello storico, che mentono sapendo di mentire». Scialfa non fa sconti a nessuno, inclusi i «colleghi» storici, e conclude lapidariamente: «È vero che gli storici debbono continuamente interrogare il passato, e perciò sono naturalmente revisionisti, ma ciò che non è vero è che lonestà intellettuale dello storico debba andare a rivedere e rimuovere ciò che milioni di esseri umani hanno veduto, sofferto e testimoniato». Che sia, oggi, il momento opportuno per una riflessione? Lautore si interroga, anche nella pagina scritta, ma non ha ancora la risposta. Si affida, per sollecitare le coscienze, a questa «guida alla comprensione della questione ebraica, sorta di manuale di consultazione per chi non sa, per chi vuole approfondire o risolvere delle questioni».
Nicolò Scialfa, «Lo sterminio degli ebrei e la voglia di dimenticare», Sovera Editore, 160 pagine, 15 euro.
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