L’ESPERTA FRANCA CAVAGNOLI

Franca Cavagnoli è traduttrice di ben tre premi Nobel - J.M. Coetzee (Nel cuore del paese, Foe, La vita degli animali), Toni Morrison (Jazz, Canto di Salomone), V.S. Naipaul (Una casa per Mr Biswas) - e insegna traduzione letteraria alla Statale di Milano e all’Istituto superiore interpreti e traduttori, nonché traduzione postcoloniale all’università di Pisa. È anche scrittrice, con due romanzi in bibliografia: Una pioggia bruciante e Non si è seri a 17 anni, entrambi per Frassinelli. Con lei abbiamo conversato di cosa accade quando due lingue tendono a ricalcarsi un po’ troppo l’una sull’altra, soprattutto tra le pagine dello stesso libro.
«Ci troviamo - dice Franca Cavagnoli - all’interno di uno spazio fecondo ma pericoloso, dove sono in agguato calchi e “falsi amici”. Questi derivano dal tradurre in modo sbagliato parole simili ma di due lingue diverse: è un errore tradurre “eventually” con “eventualmente”. Vuol dire “alla fine”».
I calchi, invece, che sono?
«Alcuni calchi dall’inglese li abbiamo accettati: come “fine settimana” e “autocontrollo”, da “weekend” e “self control”. Ma non vale sempre. Umberto Eco, in un suo saggio, fa l’esempio della frase inglese “It’s raining cats and dogs”. Non possiamo tradurla “Piovono gatti e cani”, a meno di non voler lasciar basito il lettore, bensì con “piove a catinelle” o “che Dio la manda”. Una piccola infedeltà linguistica garantisce una fedeltà culturale».
Mettiamo che Giorgio Faletti abbia agito così, «pensando» in inglese e trascrivendo in italiano.
«Lo scrittore ha certo una libertà assoluta, è responsabile solo nei confronti del lettore. Ma posso dire che se una frase idiomatica ha un certo significato di solito la regola è quella di non tradurla facendola sembrare un’invenzione linguistica. Il lettore non deve battere ciglio. Poi ci sono le eccezioni: l’inglese in epoca coloniale ha preso da una lingua africana l’espressione “to suck one’s teeth”, succhiarsi i denti, perché è il gesto che gli africani facevano per esprimere disappunto. L’espressione è ormai acquisita nell’inglese afroamericano».
Alcuni calchi, però, in un romanzo possono rendere difficile la lettura.
«Ne ricordo qualcuno anche in Treno di panna di De Carlo, non so se voluto o frutto di un inglese inconscio. In Fenoglio, tuttavia, l’incontro-scontro tra italiano e inglese genera risultati di altissimo livello artistico. L’importante è che il calco non sia gratuito, ma motivato da intenzioni letterarie. Sennò si rischia il ridicolo. Anche al quadrato. L’Ultima Cena di Leonardo in inglese è “The last supper”.

Pensi se, di ritorno, la ritraducessimo con “L’ultima zuppa”».
La frase di Faletti sul gatto che accetta le carezze «con le sue semplici implicazioni feline»?
«Incomprensibile. L’avessi trovata in una traduzione ci avrei messo a fianco cinque punti di domanda».

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