Esimio Granzotto, mi consenta una ammonizione: lei giustamente insorge di frequente sul pessimo uso della lingua italiana bacchettando a destra e a manca, mettendo alla berlina anche illustri intellettuali rei daver scritto strafalcioni o di ricorrere a moduli verbali e luoghi comuni. Nel contempo lei non si perita di strapazzare litaliano sfornando neologismi a rotta di collo, aggettivando laggettivabile, piegando i verbi al suo piacere, coniando super superlativi e in sostanza trattando la nostra lingua come un fanciullo il Pongo. Ora, poi, espatria e mi va a manipolare una lingua come il francese buttando là un «esprit vajass» del quale, siccome riferito alle «escort» frequentatrici la villa Certosa e lalloggio capitolino del Presidente Berlusconi, afferro il senso, ma me ne sfugge il vero significato. «Esprit» va bene, è lo spirito. Ma «vajass», donde trae?
Mi batto il petto, caro Boni, anche se ritengo che lei abbia calcato un po la mano coi capi daccusa, rimproverandomi di predicar bene e di razzolar male. Il fatto è che circoscrivo le mie donchisciottesche scaramucce alla sciatteria e povertà del linguaggio standard di matrice televisiva (ora ci si mette anche Sky con il pedestre scioglinguagnolo dei suoi conduttori con gel e mosca al mento e delle sue pizzute conduttrici), contro labuso di frasi fatte, di moduli verbali (ora è di gran moda «combinato disposto», fermo restando il primato beota di «quantaltro» e «piuttosto che» in senso disgiuntivo). Per il resto ho manica larga, proprio perché mi diletta assai giocare con la lingua. Che non è un blocco di granito, ma cosa viva, vivace, duttile, anche se non proprio come il suo Pongo. E poi, che diamine, cosa costa variare un po il dizionario oggi ridotto, nella parlata standard medio alta (cioè televisiva), a un pugno di vocaboli? Cosa costa dargli ogni tanto una ripassata al lessico. Ieri, riferendosi a un brutto incidente stradale, una pizzuta di Sky ebbe a dire che lautobus coinvolto era «ridotto a un mucchio di lamiere metalliche». Niente di grave, però ci risiamo: linguaggio sciatto e superficiale conoscenza dellitaliano, perché una lamiera o è di metallo o non è. Ma veniamo a «esprit vajass». Mè venuto così, come la penna getta. Forse perché «spirito vaiasso» suonava male. «Vaiassa» è termine partenopeo che stava a indicare la cameriera o meglio la serva, chiamata anche «zambracca» o, per influsso spagnolo, «criata» e infine più borghesamente «cammarera» o «femmen e servizzio». Fu allora, fu con ladozione di «cammarera» che «vaiassa» cominciò ad assumere un altro significato, quello di donna sguaiata, litigiosa e urlante, quella che «tutt o vico ha da sape!». Di modi spicci e rissosi, la vaiassa ha nello «strascino» la sua arma preferita («Ti faccio lo strascino», minaccia la Lavandaia in «La gatta cenerentola»): trattasi di prendere per i capelli la nemica e, appunto, trascinarla lungo tutto il «basso», come fa il condottiero con le spoglie del nemico. Cosè lamor, canta Vinicio Capossela, «è la Ramona che entra in campo e come una vaiassa a colpo grosso te la muove e te la squassa».
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