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L’estrema sinistra a Prodi: non firmiamo il programma

Gli alleati: se il Professore minimizza sbaglia, bisogna cambiare. Scoppia anche la grana del Mose di Venezia

Emanuela Fontana

da Roma

Non sono quisquilie. Altro che «dettagli». Così chiamava mercoledì Romano Prodi i 47 appunti mossi da Rifondazione, Comunisti italiani e Verdi al programma di 274 pagine dell’Unione che ha presentato questa settimana.
«Prodi non deve minimizzare - gli ha mandato a dire ieri dalla segreteria del Pdci Jacopo Venier -. Non è questione di dettagli». Lo ribadisce con un’intervista oggi su Aprile Oliviero Diliberto: alcune incertezze della bozza «non sono nè comprensibili nè condivisibili». Lo ripete Paolo Cento dei Verdi. Del resto le questioni sul tappeto sono quelle più importanti per il governo del Paese: i dissidi spaziano dalla politica estera al sistema delle pensioni al mercato del lavoro all’immigrazione. E come se non bastasse, dall’altro lato della coperta c’è anche Clemente Mastella che tira il programma, nel suo caso verso il campo moderato.
A Prodi in questo momento mancano dunque almeno quattro firme per compattare il fronte. Ieri i Comunisti hanno proposto addirittura un patto di legislatura a Rifondazione e Verdi per rimarcare le differenze all’elettorato. Un patto su «ritiro delle truppe e missioni all’estero, diritti dei lavoratori, scuola, diritti civili e laicità, diritti degli immigrati, sviluppo ambientale e socialmente sostenibile». Un buon proposito per partire divisi: «Faremmo così capire al nostro popolo - spiega Venier - che marceremo divisi per colpire uniti in nome dei valori e degli interessi materiali che la sinistra deve continuare a rappresentare». Ma neanche la sinistra radicale è compatta al suo interno: un patto di legislatura, risponde Alfonso Gianni di Rifondazione, «o lo facciamo con l’insieme delle forze che devono governare oppure non è un patto perché non sono tre forze che tengono in piedi il governo».
Nella sua intervista ad Aprile, Diliberto punta l’indice su molti aspetti non condivisibili della bozza di Prodi, e in particolare sul problema Irak. Dopo che «alle primarie è stato fatto firmare da 4 milioni e mezzo di italiani un programma che prevedeva il ritiro dalle truppe dell'Irak», ci sono state, osserva il segretario del Pdci, «delle evoluzioni, anzi, a mio avviso, delle involuzioni». La prima è stata «l’intervista di Fassino in cui si dice che bisogna concordare il ritiro con gli Stati Uniti». Le incertezze di adesso «non sono nè comprensibili nè condivisibili», dice Diliberto. Il tradimento degli ideali pacifisti, secondo il leader dei Comunisti, è frutto di una «preoccupazione: ossia, più ci si avvicina alle elezioni, più alcuni settori del centrosinistra vogliono apparire tranquillizzanti rispetto a chi comanda il mondo: l’amministrazione americana». Diliberto non parla di ritocchi, ma di cambiamenti reali da apportare al programma: «Lavorerò affinché venga cambiato, fino all’ultimo secondo utile, al momento infatti non lo firmo. Dopo di che cercherò di strappare quanto è più possibile, ma senza rompere la corda». Un altro tema sul tappeto è come è stato impostato il concetto di «precarizzazione del mondo del lavoro»: «Va detto con grande nettezza - chiarisce Diliberto - che noi dobbiamo cancellare dall'esperienza del centrosinistra ogni ipotesi di precarizzazione, non soltanto cancellando la legge 30, ma avviando anche una riflessione autocritica sul pacchetto Treu». I messaggi da rendere netti nel programma e che non sono stati dati sono secondo il segretario comunista: pace, stare dalla parte dei lavoratori e innalzamento dell’obbligo scolastico a 18 anni. Prodi dovrebbe andare in tv, ha chiarito anche ieri sera a Otto e mezzo Diliberto, a dire «cinque cose essenziali, cinque grandi progetti per il Paese. Non invece 250 pagine, perchè con 25 pagine si va all’università...». Al momento «non c’è intesa politica», ha ribadito il coordinatore dei Verdi Paolo Cento: «aspettiamo fiduciosi dei chiarimenti». In particolare su guerra in Irak, «no al ponte sullo Stretto di Messina e una commissione d’inchiesta sui fatti del G8».
Prodi, però, se la dovrà vedere ora anche con le spinte «locali». Oltre ai grandi temi che secondo gli alleati non sono stati affrontati ci sono le richieste non soddisfatte partite dalle Regioni. Il sindaco di Venezia Massimo Cacciari aveva chiesto di rimettere in discussione il progetto del Mose nel programma dell’Unione.

Ma la richiesta non è stata soddisfatta: «Il 19 - ha spiegato Paolo Cacciari, di Rifondazione comunista - avremo un’iniziativa pubblica a Venezia come ultimo disperato tentativo che il programma sia meno indecente di quello che sta apparendo».

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