Manila Alfano
da Madrid
È finita la stagione delle armi e delle bombe. Ora la parola passa alla politica. LEta, dopo il cessate il fuoco di due mesi fa, dopo quello che può essere considerato un armistizio dopo lunghe stagioni di sangue, chiede al governo spagnolo un tavolo di pace. Vuole chiudere i conti con il passato, lascia cadere la maschera del terrore e spera che tutto si possa risolvere con le mediazioni degli ambasciatori. Il suo obiettivo è considerare questi lunghi decenni di stragi e attentati in una guerra tra Stati.
Non sarà facile far digerire a Madrid questa impostazione, ma per la prima volta nella storia spagnola ci sono i margini per una trattativa seria, dove ogni parte in causa farà le sue proposte. La chiave di tutto è il destino del Paese Basco. Il negoziato per la fine del conflitto deve, secondo le intenzioni dellEta e delle forze politiche, svolgersi infatti su due piani: il dialogo fra i partiti baschi e il negoziato tra governo spagnolo ed Eta. Zapatero ha detto e ripetuto che non negozierà questioni politiche con lorganizzazione armata, e quindi tali questioni dovranno essere discusse dai partiti, tutti, incluso Batasuna, che dovrà ridiventare legale. E gli indipendentisti vogliono discutere, come ha detto Otegi, non «la costruzione di un aeroporto», ma la fine del conflitto per il quale lEta, si ricorda, non rinuncia a chiedere il diritto allautodeterminazione.
La strada per le trattative si è aperta il 22 marzo, quando lorganizzazione basca ha parlato per la prima volta di «cessate il fuoco permanente». Allora lo stesso Zapatero invitò alla prudenza e alla cautela, ma il tempo per gli accordi di pace sembra essere propizio, e oggi per Madrid la tregua regge, tanto che il terzo rapporto sulla verifica del cessate il fuoco consegnato al premier parla di «presupposti solidi perché lEta mantenga le promesse». Ma dalla sinistra indipendentista basca, vicina alle posizioni dellEta, sono giunte pesanti accuse a Zapatero: è lui a non rispettarla, in particolare con la repressione giudiziaria. A cominciare dai processi e dalle condanne contro il leader di Batasuna, Otegi, il quale aveva già detto, prima dellEta, che il negoziato politico fra tutti i partiti baschi è fondamentale per il processo di pace, e gli accordi qui conseguiti dovranno essere rispettati da Madrid.
Quello che è certo è che Madrid e Bilbao si trovano davanti unoccasione storica. E nessuna delle due parti in causa la vuole perdere. Le questioni da superare sono però tante, alcune politiche, come il tasso di autonomia che il governo di Madrid può concedere ai baschi; altre, le più dolorose dal punto di vista umano, hanno a che fare con la giustizia. LEta punterà a una soluzione politica, in pratica unamnistia, per i suoi «combattenti», un colpo di spugna che chiuda definitivamente la guerra. Una soluzione che per lo Stato spagnolo equivale a una sconfitta e per i parenti delle vittime del terrorismo un calice troppo amaro da bere.
La riconciliazione, il perdono, non possono essere senza condizioni. Il sospetto è che la soluzione politica venga aggirata da cavilli legali. Di fatto molti terroristi dellEta sono già fuori dalle carceri grazie a un buco nella legislazione spagnola. Tutta colpa del Codice penale del 1973, in base al quale venti terroristi questanno saranno scarcerati. Lapplicazione di quel codice, in base al quale furono giudicati i terroristi che commisero attentati prima del 1995 - anno in cui entrò in vigore il codice riformato - permetterà ai terroristi condannati a 30 anni o più di tornare liberi nei prossimi mesi dopo avere scontato 20 anni di pena. Non è roba da poco.
Tra i terroristi che beneficiano della riduzione di pena cè infatti anche Domingo Troitino, condannato a 794 anni di prigione per 21 omicidi in un ipermercato di Barcellona, e che uscirà dopo avere scontato 19 anni di prigione. Sono i vantaggi di una legge che risale al periodo franchista. Tra il 1998 e il 2004 altri 59 terroristi dellEta hanno lasciato il carcere molto prima del compimento effettivo della condanna.
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