da Milano
La crescita inferiore alla attese del deficit della bilancia commerciale statunitense in aprile ha dato ieri unaltra spallata ribassista alleuro, scivolato a 1,2117, il livello più basso degli ultimi nove mesi.
Alla vigilia, gli analisti avevano previsto una dilatazione del saldo negativo tra esportazioni e importazioni negli Usa a 58 miliardi di dollari, mentre il dato ufficiale ha fissato a 57 miliardi il disavanzo (più 6,3% rispetto a marzo). Gli squilibri commerciali restano dunque un problema di difficile soluzione per lAmerica, ma non al punto da indebolire il dollaro così come è avvenuto per tre anni. È il segnale di un cambiamento di prospettiva, perché laumento del deficit inferiore alle stime non può da solo spiegare lulteriore calo delleuro. Che è invece conseguenza diretta dellattenzione maggiore prestata dai mercati valutari al diverso passo di crescita tra Stati Uniti ed Eurolandia, nonché al differenziale sui tassi, la cui forbice è destinata verosimilmente ad allargarsi a fine mese, quando la Federal Reserve alzerà di un quarto di punto il costo del denaro portandolo al 3,25% rispetto al 2% della zona euro. Giovedì, Alan Greenspan ha infatti ribadito che permangono le condizioni per proseguire la politica di moderato rialzo delle leve monetarie. Non solo. Il precario stato di salute economico di Eurolandia sta riproponendo con forza lipotesi - che sembrava definitivamente tramontata - di un taglio dei tassi.
Il no francese e danese al referendum sulla Costituzione e il dibattito sulla sostenibilità delleuro non hanno inoltre certo giovato alla moneta unica, che ora rischia di scivolare sotto la soglia di 1,20 dollari. Soprattutto se i dati congiunturali Usa della prossima settimana (vendite al dettaglio e prezzi al consumo) confermeranno che la crescita è robusta e priva di spinte inflazionistiche.
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