L’Europa accusa: 14 Paesi coinvolti nei voli segreti Cia

Complicità più gravi in Romania e Polonia. L’Italia citata per il caso Abu Omar

Roberto Fabbri

Una rete segreta che coinvolgeva una ventina di Paesi, quattordici dei quali europei, che in accordo con la Cia gestivano trasferimenti e detenzioni illegali di sospetti terroristi. È questa la denuncia del senatore liberale svizzero Dick Marty, incaricato dal Consiglio d’Europa di svolgere un’indagine sui cosiddetti «voli Cia». Il Consiglio d’Europa, va precisato, non è un’assemblea elettiva, ma un’istituzione che si occupa di questioni collegate al diritto, della quale fanno parte 46 Paesi. Un’istituzione che non ha il potere di avviare procedimenti legali, ma solo di muovere denunce.
Nel suo documento Marty dipinge un quadro fatto di cooperazioni segrete con gli Stati Uniti, spintesi in alcuni casi fino alla violazione delle leggi, da parte di governi europei desiderosi di evitare problemi con le rispettive opinioni pubbliche. In particolare, accusa i governi di sette Paesi (Gran Bretagna, Germania, Italia, Turchia, Svezia, Macedonia e Bosnia-Erzegovina) di «violazione dei diritti della persona» per trasferimenti illegali di prigionieri, e altri sette (Spagna, Polonia, Romania, Grecia, Portogallo, Irlanda e Cipro) di «collusione attiva o passiva in materia di detenzioni segrete e di trasferimenti illegali tra Stati».
Polonia e Romania, inoltre, vengono accusate anche di avere ospitato prigioni segrete, ma lo stesso Marty ha ammesso di non disporre di prove in tal senso. I governi di Varsavia e di Bucarest hanno reagito con irritazione, sottolineando la gravità di accuse portate senza pezze d’appoggio. Altri governi, come quelli spagnolo e greco, hanno negato il proprio coinvolgimento in situazioni illegali. La Commissione europea, da parte sua, ha fatto sapere tramite il portavoce del commissario Ue per la Giustizia, sicurezza e libertà Franco Frattini di voler disporre di un quadro completo delle indagini prima di esprimere una propria posizione.
Il rapporto Marty elenca anche una serie di aeroporti - europei e no - che sarebbero stati utilizzati per le operazioni sotto indagine. Tra questi compare quello italiano di Roma Ciampino, indicato fra quelli impiegati per operazioni di rifornimento. Anche la base Nato di Aviano viene citata: sarebbe stata utilizzata in un singolo caso per l’imbarco di un detenuto, ma senza aver mai fatto parte del sistema che Marty pretende di aver individuato. Tra gli altri scali internazionali nominati nel rapporto ci sono quelli di Atene, Praga, Francoforte, Palma di Maiorca, Shannon e Stoccolma, che sarebbero stati impiegati sempre brevemente, su piste secondarie.
Il presunto ruolo dell’Italia nella vicenda riguarda la nota vicenda del rapimento del terrorista egiziano Hassan Osama Mustafa Nasr, meglio noto come Abu Omar. È già oggetto di polemiche politiche, perché Marty accusa l’ex ministro leghista della Giustizia Roberto Castelli di aver «usato i suoi poteri per intralciare il lavoro delle autorità giudiziarie», mentre loda l’operato della Procura di Milano che avrebbe «dimostrato grande competenza e una notevole indipendenza di fronte alle pressioni politiche». Marty sostiene che quello italiano «è il caso più inquietante, perché è il meglio documentato» tra quelli di «governi non particolarmente ansiosi di stabilire i fatti».
Castelli ha reagito osservando che «ci sono questioni di Stato che vanno ben al di là delle questioni giudiziarie. Questo signore - ha aggiunto riferendosi a Marty - avrebbe dovuto ascoltarmi e sentire le mie motivazioni, ma non ho ricevuto alcun invito in tal senso. Mi sembra un atteggiamento poco serio». Per il responsabile ds della giustizia Massimo Brutti, invece, «occorre attendere l'esito dell'inchiesta giudiziaria e andare fino in fondo in questa vicenda che pone un problema politico serio».


La Commissione affari legali dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha adottato, basandosi sulle informazioni contenute nel rapporto Marty, una risoluzione in cui si esortano gli Stati membri dell’istituzione a «rivedere gli accordi bilaterali firmati con gli Stati Uniti, in particolare quelli relativi allo status delle forze Usa di stanza in Europa e all’uso di infrastrutture militari o di altra natura».

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