dal nostro inviato a Bruxelles
Che si possa sostituire il «motore» franco-tedesco, andato in pezzi nell'ultimo mese, con uno nuovo angloitaliano, è azzardo su cui pochi, almeno per ora, sono disposti a scommettere. Ma che sull'asse Roma-Londra, con riferimento al futuro dell'unione europea, si stia sviluppando quella che un tempo si sarebbe chiamata entente cordiale, sono parecchi oggi a riconoscerlo. «È nota l'amicizia tra Blair e Berlusconi, così come una certa unità d'intenti - nota Graham Watson, capo dei liberal-democratici all'Europarlamento - ma al di là di questo è naturale che dopo il binomio Schröder-Chirac, ormai morto, occorra pensare a trovare nuove intese. E Blair sa bene che il governo italiano può rappresentare il primo alleato nella sua ricerca di una nuova strada».
Sarà anche perché tra piazza Colonna e Downing street il filo rosso del dialogo è di lunga data. Fin dai tempi del post conflitto in Irak, quando Roma aderì all'invito di Washington e Londra di inviare truppe a garantire sicurezza a Nassirya. E ricco di «sponde» italobritanniche è anche il dialogo che si è sviluppato negli ultimi anni a Bruxelles: sulla Costituzione, sulla necessità di accrescere gli investimenti per far decollare l'economia, sui tagli alle imposte, sull'atteggiamento da assumere con Putin e con i turchi. Ma è soprattutto in previsione della presidenza semestrale britannica che si è andato infittendo il rapporto. Prova ne è che l'altra sera a Mansion House, nella tradizionale cena in cui il cancelliere dello scacchiere Gordon Brown tratteggia davanti a banchieri e all'alta finanza lo stato dell'economia inglese e i suoi sviluppi, ospite d'onore fosse il vice-presidente italiano del consiglio Giulio Tremonti. Un invito il suo che non è passato certo inosservato, come del resto sono noti i più che solidi rapporti che legano ormai Jack Straw al suo collega italiano Gianfranco Fini. Quel Fini che ieri definiva molto interessante il discorso di Blair.
«Siamo in condizioni ideali per svolgere una funzione importante - ammette anche Franco Frattini, commissario nella squadra di Barroso - e non possiamo certo non dare una mano a Tony Blair ed alla sua visione di un nuovo riformismo». Pure Gianni De Michelis, che della Farnesina è stato a lungo titolare, trova che la strada da prendere sia quella di una stretta intesa con Londra, in attesa che in Germania vinca la Merkel e rafforzi così l'intesa: «L'ho detto più di una volta a Berlusconi - svela l'europarlamentare del nuovo Psi - che una volta in frantumi l'asse Parigi-Berlino si sarebbe realizzata una condizione conveniente per l'Italia nella voglia di cambiamento di Blair». E che Berlusconi abbia ascoltato con attenzione sarebbe a dimostrarlo la telefonata che da palazzo Chigi ha fatto a Tajani, congratulandosi per la larga apertura concessa dal capogruppo azzurro a Bruxelles nei confronti «dell'amico Tony».
Convinti che in effetti tra Londra e Roma si stia sviluppando qualcosa più di una semplice simpatia, anche alcuni esponenti dell'opposizione. Enrico Letta, già ministro dell'Industria ritiene però che l'ipotesi di un asse possa costituire «un grosso errore». «Non aiuta certo un accordo generale in Europa - dice - perché si tratterebbe di un asse che punta più alla divisione che all'unità. E se il motore franco-tedesco ha fuso, non si può certo prescindere da Parigi e Berlino. Senza contare che il rapporto Londra-Roma rinvia all'intervento in Irak che sarebbe meglio dimenticare al più presto anziché rispolverare». Mentre la verde Monica Frassoni si spinge anche più oltre e dice che, oltre a Varsavia e l'Aia «anche la Spagna di Zapatero si sta riavvicinando a Blair» se è vero che il leader spagnolo interrompe la sua visita in Cina proprio per incontrare il nuovo presidente della Ue.
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