Per l’Europa illuminata il popolo è sempre bue

Caro Granzotto, molti politici italiani ed europei si sono stracciati le vesti per l’esito del voto irlandese sul nuovo trattato dell’Ue. Napolitano ha minimizzato sull’entità del corpo elettorale, Prodi ha commentato: «Dopo tanti contributi a pioggia, così ci hanno ripagato!» (cosa che sa tanto di voto di scambio). Il presidente della Repubblica Ceca ha detto: «È la vittoria della libertà e della ragione su progetti elitari e artificiali e sull’Europa burocratica». Convengo su tali affermazioni ed è per questo che da convinto europeista quale ero, sto cambiando opinione. Mi sono fatto l’idea, fondata, di un connubio perverso tra euroburocrati ed europarlamentari. Del resto, a proposito del giudizio dei popoli, c’erano stati segnali ben precisi dall’esito del referendum sulla precedente stesura del Trattato in Francia e Olanda. E da quel giorno i governi abbandonarono la via del referendum popolare e si rifugiarono nell’uso della ratifica parlamentare. Ma io penso che il voto della gente abbia lo stesso valore di quello di «lorsignori».


Avrà certamente letto, caro Terzoli, che dopo il «no» irlandese anche il premier Gordon Brown avrebbe in mente di sottoporre la ratifica del Trattato di Lisbona al vaglio dei cittadini britannici. Può sembrare la banale contromossa di un Paese che badando al sodo non si è mai fatto incantare dal melenso lirismo europeista, ma a mio avviso è qualcosa di più. È la risposta del pragmatismo a quell’Illuminismo del quale noi continentali siamo, culturalmente e politicamente, orgogliosamente eredi. È illuminista al cento per cento l’opinione che una minoranza - non per niente definita illuminata - abbia il pieno diritto-dovere di ammaestrare e indirizzare la maggioranza rappresentata dai buoni ma sprovveduti cittadini. Dal popolo, in sostanza, che è d’animo così semplice e candido da non sapere nemmeno quale sia il proprio interesse. Concetto, questo, che nutre di sé l’intero giacobinismo, figlio di primo letto dell’Illuminismo. Bene, disporre che sia il Parlamento e non i cittadini a esprimersi «su cose più grandi di loro», loro i cittadini, come ad esempio il Trattato di Lisbona, è una scelta di impronta illuminista. Adottata per un condizionamento culturale, per fedeltà a un principio che poteva avere senso un tempo, non ai giorni nostri.
Il popolo (noi) non è, infatti, più quello di Rousseau, di Voltaire, di Saint-Just. Di Cavour, va’. Il popolo (sempre noi) beneficia del suffragio universale: vota, mentre un dì votavano solo le classi alte che si dava per scontato fossero, appunto, illuminate. Il popolo (ancora noi) è alfabetizzato, nel senso che sa leggere, scrivere e magari far di conto. Dispone di mezzi di comunicazione d’ogni sorta, giornali, radio, televisione, Internet. Viaggia, si sposta come un demonio, oggi a New York, domani a Passerano Marmorito. Ma che uno degli ingredienti della ricetta illuminista abbia subito trasformazioni tali da rendere indigesto l’insieme, l’hanno capito, per ora, solo gli inglesi. I quali, guarda caso, il loro Illuminismo lo chiamano Pragmatismo. Il Governo di Sua Maestà, in sostanza, ritiene che i cittadini britannici avrebbero un certo diritto di dire la loro su un trattato, come quello di Lisbona, gravido di conseguenza nella vita pubblica e privata. Noi non abbiamo questa fortuna.

Perché qualcuno pensa che in quanto popolo siamo ancora i «buoni selvaggi» che mandavano in visibilio Rousseau. Sa una cosa, caro Terzoli? Verrebbe voglia di reagire pagando le tasse con specchietti, perline, ciottoli levigati, conchiglie...

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