LondraL'Europa mette a rischio l'unità del partito conservatore britannico. Dopo il «sì» irlandese al trattato di Lisbona infatti, l'ultimo congresso dei tory prima delle elezioni politiche si preannuncia molto più tumultuoso del previsto. Il nuovo leader David Cameron si presenta all'appuntamento forte dell'appoggio dell'opinione pubblica, ma la decina di punti che gli garantiscono la vittoria al prossimo voto nei sondaggi, non gli eviteranno di confrontarsi con la spinosa questione europea. Una materia che si è sempre rivelata una spina nel fianco per il partito tanto che altri suoi famosi predecessori hanno pagato cara la loro posizione in merito. Si dice che la Thatcher perse il comando anche a causa della sua feroce ostilità alla comunità europea e che in tempi diversi il suo successore Major fu fatto fuori proprio perché si dimostrò troppo debole nelle condizioni da porre al trattato di Maastricht.
Oggi Cameron corre un po' lo stesso rischio: se si mostra troppo generoso verso l'Ue scontenta l'ala «dura e pura» del partito, se invece dichiara apertamente guerra al trattato perde l'appoggio dei moderati e degli europragmatici. Fino a questo momento era riuscito a mantenersi equidistante dichiarando che avrebbe valutato l'opzione referendum, una volta al potere, soltanto nel caso l'iter di ratificazione fosse ancora incompleto. A ricordargli quanto questa sua posizione possa apparire debole per i delegati più oltranzisti è stato il sindaco di Londra, Boris Johnson. Da sempre euroscettico, Johnson non ha voluto nemmeno sfiorare la questione nel corso del suo intervento alla conferenza di Manchester, ma ha espresso la propria opinione soltanto qualche ora prima in un'intervista televisiva alla Bbc. Secondo Johnson, gli inglesi dovrebbero essere chiamati ad esprimersi - almeno sui punti chiave del trattato - a prescindere dal fatto che la nuova costituzione sia stata ratificata o meno. «Mi sembra una cosa alquanto bizzarra - ha dichiarato ieri Johnson - che ai nostri cittadini non venga offerta la possibilità di dire come la pensano sulla prospettiva che l'ex primo ministro laburista Blair possa diventare il primo presidente europeo, ritengo invece che si debba arrivare a una consultazione pubblica il prima possibile e sarebbe meglio che ciò avvenisse prima che gli ultimi due Paesi, Polonia e Repubblica ceca ratificassero il trattato. Mi sembra incredibile che su una materia così delicata il Labour stia tentando di cavarsela così a buon mercato».
È ovvio che in cuor suo Cameron si augura che a cavarlo d'impaccio sia o il governo attuale - che peraltro si guarda bene dall'indire un referendum proprio in questo momento - o gli ultimi due Stati europei che mancano all'appello per la ratifica. Ma intanto il leader dei Tory ieri è stato costretto a salire sul palco e a pronunciare un discorso che non era in scaletta per richiamare i suoi allunità. Se il trattato di Lisbona dovesse entrare in vigore prima delle elezioni, evitare un referendum sarebbe certo più facile anche se questo andrebbe a significare una frattura interna al partito. Ieri l'ex Cancelliere Ken Clarke, da sempre ostile al'ipotesi referendaria, ha sottolineato che la linea dei conservatori è già stata definita. «Se il trattato verrà ratificato, naturalmente non resteremo a guardare, ma non credo che sia opportuno decidere un cambio di tendenza nel bel mezzo del congresso».
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