Politica

L’EUROPA NON È MORTA

Raramente s’è visto tanto tripudio per un funerale. Viene celebrata, e da molti festeggiata, l’agonia dell’Europa: che in effetti, lo sappiamo tutti, non sta tanto bene di salute, ma che è pur sempre viva. Quest’imperversare di diagnosi letali e di necrologi anticipati le istituzioni europee - anche questo lo sappiamo tutti - se lo sono andato a cercare: con gli eccessi burocratici di Bruxelles, con le aggregazioni di Paesi tuttora impreparati - politicamente, economicamente, socialmente - ad un passaggio così impegnativo, con i traumi derivanti, là dove lo si è adottato, dall’euro. Non sono mai stato un ultrà dell’europeismo - così a lungo praticato nel Palazzo italiano con vociante e futile voluttà - ma adesso mi pare proprio che si esageri nel dargli addosso.
Mi ha indotto a qualche riflessione una lettera - a firma Lina Scefe - che abbiamo pubblicato domenica scorsa. La signora Scefe deplorava «la demagogia di autentici imbecilli i quali riuscirono a far smantellare le nostre centrali nucleari, per poi acquistare a caro prezzo il fabbisogno energetico dalle centrali nucleari che fanno corona alle nostre Alpi». Lina Scefe ha, secondo me, tutte le ragioni del mondo. Ma cosa c’entra, obbietterete, con l’Europa? C’entra perché gli autentici imbecilli cui la lettrice allude furono gli elettori d’un referendum dall’esito tanto netto quanto catastrofico. Dobbiamo rispettare la volontà popolare, quando si esprime nei modi voluti dalla Costituzione, e dunque è stato inevitabile che il nucleare sparisse. Ma il responso popolare, con la spinta emotiva per il disastro di Cernobil, fu un madornale errore, così come fu un madornale errore la mancata approvazione, nel 1953, della cosiddetta «legge truffa».
Chi è curioso di storia non ha mai avuto l’illusione che la volontà del popolo - a cominciare dalla scelta tra Cristo e Barabba - sia infallibilmente saggia. Spesso non lo è. Veniamo dunque all’Europa. Sacrosante le critiche. Ma da molte parti si è inneggiato al risultato di Francia e Olanda quasi che esso testimoniasse non un legittimo e diffuso malcontento degli elettori, ma una contrapposizione tra l’onesta gente e gli aridi politici e funzionari di Bruxelles.
Nell’euforia di questa rappresentazione tutto è stato rimesso in discussione. De Gasperi, Adenauer e Schuman erano dei poveri illusi. Con l’appoggio di Bertinotti e Calderoli hanno furoreggiato il patriottismo dei confini e il patriottismo delle monete, sono stati tessuti elogi sperticati della cara vecchia lira le cui svalutazioni, attraverso i decenni, hanno incenerito i risparmi di decine di milioni d’italiani (i non furbi e i non ammanicati, è ovvio). Se poi è evidente - e a mio avviso lo è - che la campagna per un ritorno alla lira fa solo clamore, risulta evidente che il fine della campagna stessa è quello di catturare un po’ di voti. Aspirazione più che logica, per un partito. Ma estranea al vero dibattito sui problemi del momento.
Tra essi, chi lo nega, c’è anche quest’Europa ingigantita e perciò molto indebolita, della quale Prodi volle fortissimamente e dissennatamente l’infausto gigantismo. Annovero tra gli effetti positivi del voto francese e olandese la battuta d’arresto non solo d’una Costituzione troppo ambiziosa, ma d’un processo di espansione profondamente sbagliato: sbagliato anche quando, per esigenze di politica internazionale, è sponsorizzato dagli Usa che vorrebbero la Turchia nell’Unione. Serve di sicuro un profondo ripensamento. E non metto in dubbio - ci mancherebbe - che l’euro, per le modalità imprudenti con cui fu introdotto o per altro - abbia causato rincari diffusi. Ce ne siamo accorti tutti.
Ma non facciamone un alibi. Ci si lamentò, all’inizio, perché l’euro era debole rispetto al dollaro. Ci lamentiamo adesso perché lo sovrasta di troppo. È evidente - lo capisco perfino io - che l’euro forte danneggia le esportazioni. Ma il crollo è avvenuto anche per le esportazioni dirette all’area dell’euro, e allora? La moneta forte tarpa le ali all’export, è un luogo comune. Ma come mai la Germania è diventata la regina europea delle esportazioni - lo è tuttora - con un marco che era robustissimo?
Temo che le polemiche su impossibili uscite dall’euro e su un decesso europeo prossimo venturo lascino in ombra - in un momento in cui si dovrebbe discuterne sempre - le questioni vere, politiche ed economiche. Berlusconi ha ragione, l’Italia è più ricca di quanto creda e di quanto affermano certe statistiche. Ma non lo è al punto - lo scrivo come massimo inesperto - da poter rinunciare ai vantaggi politici dell’Unione Europea e ai vantaggi economici della valuta europea. Certo i leader prendono grossi abbagli. Li prendono, alle urne, anche i popoli. L’importante è che non siano irreparabili, o molto difficilmente riparabili.

Come è avvenuto, ahinoi!, per il nucleare.

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