Bruxelles è un insieme di istituzioni. Un contratto. L'Europa non è più un'idea, un significato, una speranza. I francesi e gli olandesi, fondatori e anzi iniziatori del processo di unione hanno votato contro di esso. Hanno escluso in via di principio che l'Unione europea diventasse qualcosa come un'identità. Essi hanno deciso che l'Unione Europea era una realtà, ma non poteva diventare una comunità. Mentre, altri tempi, si chiamava «comunità» quella del carbone e dell'acciaio, creata nel 1949 da Konrad Adenauer, Robert Schuman e Alcide De Gasperi. Allora si usava questa parola per nascondere un compromesso sul carbone alsaziano tra Parigi e Bonn.
Gli elettori in Francia e Olanda hanno respinto il principio che l'Unione diventasse una comunità e avesse quindi un senso, un destino. Hanno voluto dire che la Francia è un'identità, l'Olanda è un'identità, ma l'Europa non è un'appartenenza. L'idea europea è morta, le istituzioni europee continuano, come se ci fosse ancora lo spirito che le anima: e la parola «unione» avesse ancora un senso. L'Europa torna così idealmente un'«espressione geografica». Bruxelles e Strasburgo sono burocrazie intergovernative, che formalmente si pongono come democratiche: ma le elezioni al Parlamento europeo sono in realtà soltanto un mezzo di confronto tra i partiti nei vari Paesi su temi nazionali. L'Europa delle patrie non è nata. Rimangono le patrie.
Il riferimento alle «radici cristiane», chiesto da Italia e Polonia nel Trattato costituzionale abortito, fu l'estremo tentativo di dare un'identità all'Unione. L'Europa, al posto della Cristianità, è una creazione dell'illuminismo, ma la ragione pura non ha mai creato comunità. Le comunità si fanno su una storia con il sangue versato, sulle sofferenze comuni. Le nazioni europee hanno chiesto milioni e milioni di morti ai loro popoli. Il sangue versato insieme le ha cementate. Non è stato possibile creare quello che forse sarebbe stato un passo innanzi verso l'identità: l'esercito comune. Il trio fondatore ricordato (De Gasperi, Adenauer, Schuman) si era impegnato per costruire un esercito comune, la Comunità europea di difesa. Sotto l'impulso di Charles de Gaulle, l'assemblea nazionale francese, non a maggioranza gollista, negò l'assenso al trattato. Senza esercito comune non c'è identità che tenga.
Oggi eserciti di nazioni europee sono impegnati su vari fronti. Ma come eserciti nazionali. Qui nemmeno la realtà e il rischio della morte creano il sentimento di destino comune. Bene utile o male minore, l'Europa è una realtà imposta dalla necessità. La sua potenza economica commerciale è una potenza politica, ma solo l'America e la Russia, che hanno vere forze armate, hanno sul continente potere decisionale.
La rettifica del trattato di Lisbona è divenuta la rivelazione della fine dell'Europa come comunità. Esso, che aveva tolto ogni simbolo identitario, è caduto sotto il voto irlandese: è il caso di dire un morto che cammina nelle ratifiche nazionali che continuano. Il presidente di turno francese, il dinamico Sarkozy, che aveva sperato di riempire la sua presidenza con gesti significativi che facessero notizia, si trova ora privato sia del potere che del significato.
Il fatto più grave è che gli europei, di questa lenta sparizione dell'Europa politica, non si sono nemmeno accorti, non hanno dato segno né di compiacimento né di nostalgia. Sul piano delle identità l'Europa è un nulla, sul piano della realtà è una necessità; e nessun governo, nessun partito, nessuna delle correnti di opinione pensa di modificare il potere dell'euro che strozza l'economia. La Banca centrale di Francoforte è diventata l'espressione pura della necessità. In nome di essa Trichet è il decisore dell'economia europea.
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