L’Europa vuol salvare Atene in due mosse

Jean-Claude Juncker insiste, ma sull’ipotesi di una ristrutturazione soft del debito greco sembra ormai essere calata una pietra tombale. La contrarietà nei confronti della proposta espressa a più riprese dalla Bce e da un Paese di forte peso come la Germania ha però avuto come conseguenza un inasprimento delle tensioni sui rendimenti dei titoli greci a 10 anni, saliti ieri al 16,03%, 23 punti base più di mercoledì.
L’imperativo, a livello europeo, è dunque quello di individuare in fretta una soluzione capace di spazzare via l’incertezza, assai sgradita ai mercati, e “mettere in sicurezza“ Atene. Compito non facile, e reso ancor più complicato dalla crisi innescata al Fondo monetario internazionale dall’arresto di Dominique Strauss-Kahn. La corsa alla poltrona di direttore generale finisce inevitabilmente per intrecciarsi con le vicende greche, essendo il Fondo soggetto attivo nella distribuzione degli aiuti, prima alla Grecia, poi all’Irlanda e infine al Portogallo. Pur imponendo riforme strutturali e misure rigidissime di contenimento delle spese, l’Fmi di Strauss-Kahn non ha mai fatto mancare il proprio appoggio finanziario. Se sulla poltrona di comando finisse un dirigente non europeo, il rischio potrebbe invece essere quello di una gestione delle risorse più ortodossa e meno allineata alle esigenze comunitarie.
È anche per questo motivo che le capitali europee, secondo alcune fonti Ue, sarebbero al lavoro per mettere a punto un piano in due fasi da presentare in giugno. La prima mossa rispolvera un’ipotesi già circolata nelle scorse settimane, ovvero quella relativa alla concessione alla Grecia di ulteriori 60 miliardi di euro, dopo i 110 già erogati lo scorso anno, in modo da coprire le esigenze di finanziamento del Paese fino al 2014. Cifre tuttavia subordinate all’esito della missione nella capitale ellenica di Ue, Bce ed Fmi che si concluderà entro una decina di giorni. La premessa per i nuovi aiuti resta quella del varo da parte del governo greco di ulteriori misure di aggiustamento del bilancio e per velocizzare le riforme strutturali, a partire dalle privatizzazioni. Ma i sindacati greci temono che nuovi provvedimenti draconiani possano far crollare l’occupazione.
La seconda mossa è volta a evitare la ristrutturazione “morbida“ evocata ancora ieri da Juncker in un’intervista al giornale tedesco Stuttgarter Zeitung. Si starebbe allora lavorando a un’intesa con le banche esposte sul fronte dei titoli di Stato greci, incentivandole a non vendere i bond e a sostituirli alla loro scadenza con nuove obbligazioni. Così facendo, si concederebbe maggiore tempo al Paese ellenico per procedere con decisione sul cammino delle riforme e si eviterebbe di far ricadere sul sistema bancario europeo un nuovo round di perdite che dopo tre anni di profonda crisi sarebbe difficilmente assorbibile.
Alcuni osservatori continuano però a non escludere il ricorso alle ristrutturazione del debito.

Qualche forma di ristrutturazione, spiegano gli analisti di Crédit Suisse, è «inevitabile» e la soluzione migliore sarebbe quella di consentire un’azione volontaria, in cui i creditori accettano di registrare una perdita su parte del proprio investimento pur di salvaguardare quello che rimarrebbe a carico della Grecia. Ma Jurgen Starck, componente del board della Bce, avverte: in caso di ristrutturazione, la banca centrale non accetterebbe più i titoli greci come collaterale.

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