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L’ex ad: «Noi vittime, altro che evasori fiscali»

RomaMai evaso le tasse, mai emesso fatture false, mai conosciuto Gennaro Mokbel, il senatore Nicola Di Girolamo e Carlo Focarelli. L’ex amministratore delegato di Fastweb Silvio Scaglia è tornato apposta dalle Antille per difendersi e ieri lo ha fatto a tutto campo davanti al gip Aldo Morgigni, che ha disposto il suo arresto nell’ambito dell’inchiesta su un’attività di riciclaggio da due miliardi di euro. Nessuna responsabilità, dunque. La società telefonica sarebbe vittima di quanto avvenuto.
Scaglia parla nel carcere di Regina Coeli dove è rinchiuso da giovedì quando è tornato in Italia per costituirsi e respinge al mittente tutte le accuse ipotizzate nei suoi confronti dalla Procura di Roma. Secondo i magistrati il manager piemontese farebbe parte di un’associazione a delinquere finalizzata al falso in atti pubblici e all’emissione di fatture per operazioni inesistenti. L’interrogatorio dura due ore. «Il comportamento di Fastweb è stato assolutamente corretto, escludo qualsiasi evasione fiscale», ribatte Scaglia. Certo, commenta l’avvocato Piermaria Corso, leggendo le carte l’ex amministratore delegato si è reso conto che qualcuno avrebbe commesso degli illeciti e di questo ognuno dovrà assumersi le proprie responsabilità. Ma quel qualcuno non è Scaglia o persone a lui vicine. «La struttura di Fastweb - spiega il manager - comprende decine di dipendenti, ognuno dei quali ha svolto il proprio ruolo nelle proprie competenze. Potrebbe darsi che qualcuno non si sia comportato correttamente, ma non è mio compito affermarlo. Per quanto riguarda me e quelli che conosco escludo la commissione di reati». Ai magistrati Scaglia racconta che il suo ruolo non era quello di controllare la singola operazione commerciale. «Per questo c’era una struttura ad hoc - sottolinea - che ha sempre funzionato bene e, per quello che posso dire, le persone che ne fanno parte si sono sempre comportate lealmente».
Il manager non si tira indietro. Risponde con puntualità a tutte le contestazioni. E soprattutto nega di aver mai visto o conosciuto i protagonisti di questa vicenda, a partire dal senatore Di Girolamo. Idem per Mokbel, considerato il capo dell’organizzazione e Focarelli, ritenuto la mente della colossale truffa. «Era un consulente esterno - dice di lui Scaglia - che ha avuto rapporti con qualche dirigente di Fastweb ma non con gli alti livelli della società». Insiste parecchio l’ex amministratore delegato sull’accusa di evasione fiscale: «Probabilmente - dice - noi siamo gli unici ad aver pagato le tasse. Da parte nostra non c’è stata evasione fiscale, Fastweb ha pagato quanto le spettava, se altri non lo hanno fatto noi dobbiamo essere considerati vittime». Ma la versione del manager non sembra aver convinto più di tanto i magistrati. In Procura ci si aspettava qualcosa di più dall’ex numero uno di Fastweb del richiamo ai principi di moralità e trasparenza aziendale a cui la società si sarebbe attenuta. Chi indaga ritiene che Scaglia, come «dominus» dell’azienda, non potesse non essere a conoscenza delle irregolarità dei servizi telefonici inesistenti serviti per frodare il fisco. È probabile, dunque, che i pm daranno parere negativo alla richiesta di scarcerazione avanzata dal legale. Scaglia ha anche ricostruito i meccanismi di cessione dell’uso della struttura telefonica a società estere: «La nostra sede commerciale mette la rete a disposizione del committente. Quanto avviene a valle non è di nostra pertinenza. Noi abbiamo verificato che esistessero non solo il segnale telefonico, ma anche il traffico».
Ieri, intanto, si è costituito in Procura l’avvocato Paolo Colosimo, accusato di essere il legame tra Mokbel e il senatore Di Girolamo.

«Sono contestazioni infondate - ha detto - che sono pronto a respingere documentalmente».

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