L’ex comunista Napolitano rende onore agli eroi ungheresi uccisi dai sovietici

Fiori per i martiri e mea culpa: sofferta visita a Budapest del capo dello Stato

Massimiliano Scafi

nostro inviato a Budapest

Fiori per Imre Nagy, una dedica per le vittime di «una battaglia a cui siamo stati sordi», un incontro con i parenti, un inchino davanti alle lapidi dei martiri dell’insurrezione anti-sovietica del 1956. Stamattina Giorgio Napolitano cercherà di suturare così, a cinquant’anni dalla rivolta, una delle lacerazioni più profonde della storia della sinistra italiana. L’omaggio di un ex-comunista agli ungheresi uccisi dal comunismo: è un atto dovuto, ma è pure un gesto profondamente simbolico e «politico» e persino una sorta di catarsi personale. Aveva 31 anni Napolitano quando, da dirigente locale del Pci, approvò l’invasione sovietica. Mezzo secolo più tardi, da presidente della Repubblica, dopo aver fatto pubblica autocritica, vuole adesso ufficializzare anche fisicamente la fine del suo «tormento».
Frotte di giovani sulla pedonale Vaci Ulica, seduti al sole ai caffè all’aperto. Migliaia di turisti a Buda, davanti al castello e alla cattedrale, mentre in piazza Kossuth ormai solo qualche decina di ragazzi è rimasta a presidiare i giardini davanti al Parlamento. Dopo le proteste e gli scontri della settimana scorsa, la rivolta contro il governo sembra quasi evaporare: resta solo un po’ di nervosismo. L’opposizione di centrodestra ha dato un colpo di freno e ha rinunciato alla spallata. Per rovesciare il socialista Ferenc Gyurcsany, che ha ammesso di aver mentito agli elettori sulla situazione economica del Paese, punterà sulle amministrative di ottobre.
Questa è la cornice che troverà oggi Giorgio Napolitano. Un viaggio-lampo, motivato dal protocollo con un incontro con il capo dello Stato Lazlo Solyom per parlare di Europa e di relazioni bilaterali. Ma il nocciolo della visita del presidente italiano sarà fatalmente quella sosta alle nove del mattino nel nuovo cimitero comunale di Budapest, davanti a quella tomba di Nagy che per decenni per il regime di Budapest è stata solo l’anonima «parcella 301».
Una trasferta sofferta, cominciata idealmente subito dopo la sua elezione al Quirinale. Napolitano non è gradito, è meglio che per l’anniversario non venga, scrissero in un documento i rappresentanti dei caduti del ’56. E solo venerdì scorso Maria Schmidt, direttrice del museo del terrore sovietico, pretendeva un atto inequivocabile di contrizione: «Napolitano ha detto che si è sbagliato? Bontà sua si è accorto dell’errore. Ma sarebbe stato più apprezzabile se avesse chiesto scusa pubblicamente a noi ungheresi».
Chissà dunque se l’omaggio al cimitero sarà considerato sufficiente. Napolitano poteva venire a Budapest a metà ottobre, mischiandosi agli altri 24 capi di Stato che parteciperanno alle solenni cerimonie. Invece arriva da solo, mettendo sotto i riflettori la conclusione del suo «percorso». Prima, le pagine della sua autobiografia, Dal Pci al socialismo europeo, nella quale ha attaccato «l’ottica distorta della scelta di campo», che vedeva le scelte delle Botteghe Oscure «inseparabili» da quelle di Mosca e si è addossato «le responsabilità» di un comitato centrale e una dirigenza «sorde a questa battaglia». Poi, il primo atto da capo dello Stato, la visita ad Antonio Giolitti, uscito dal Pci proprio per i fatti d’Ungheria: «Avevi ragione tu e torto io». Infine, la lettera un mese fa a Giuseppe Tamburrano, presidente della Fondazione Nenni, con cui ha cercato di saldare le due anime della sinistra italiana: «La mia riflessione autocritica sulle posizioni prese dal Pci e da me condivise nel 1956 e il suo pubblico riconoscimento da parte mia a Giolitti di aver avuto ragione valgono anche come pieno e dovuto riconoscimento della validità dei giudizi e delle scelte di Pietro Nenni e di gran parte del Psi in quel cruciale momento».


L’undici ottobre, sotto la presidenza di Fausto Bertinotti, il Parlamento italiano si riunirà per commemorare la rivolta del ’56. E dieci giorni dopo toccherà a un altro ex comunista, Massimo D’Alema, volare fino a Budapest per onorare le vittime della repressione sovietica.

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