Roccaraso (L’Aquila) - «Gli esponenti di Forza Italia che hanno aderito al referendum lo hanno fatto a titolo personale. Non faremo nulla senza prima aver trovato un accordo con gli alleati. Conosco i timori degli amici della Lega Nord. Bossi stia tranquillo». La prima uscita pubblica di Silvio Berlusconi dopo il conclave governativo di Caserta è arrivato via telefono a Neveazzurra, la festa di Forza Italia che si svolge ogni anno nella località sciistica abruzzese. E la sua prima preoccupazione è stata quella di tranquillizzare gli alleati riuniti a 700 chilometri di distanza.
Il partito di Bossi è in fibrillazione per il referendum che, se dovesse passare, darebbe luogo a un sistema elettorale penalizzante? La risposta di Berlusconi è la sconfessione della consultazione referendaria a favore della via parlamentare alle riforme. Al massimo il referendum può essere uno strumento per «indurre la sinistra ad un comportamento ragionevole e riguardevole per gli interessi del Paese». Non la clava da utilizzare contro gli alleati. Una presa di posizione che è piaciuta al segretario dell’Udc Lorenzo Cesa, ma che trova una spiegazione convincente, più che in una conversione alle tesi dei centristi, nel legame umano e politico tra il Cavaliere e il Senatur. E nelle priorità dell’agenda politica. Berlusconi, come Tremonti e Fini, intende affrontare le elezioni amministrative di primavera «con grande determinazione» perché «saranno anche elezioni politiche».
Un plebiscito pro o contro la maggioranza di centrosinistra, che a Caserta ha mostrato la sua debolezza. «Hanno dovuto gettare la maschera, dietro le spinte dei veri padroni, che sono i partiti comunisti, per i quali la proprietà privata è ancora qualcosa di negativo che deve essere solo tassata». L’ideologia del governo, tradotta in misure concrete, penalizza tutti i livelli di reddito: «Non piangono solo i ricchi ma anche i poveri», come dimostra il giro di vite sulla proprietà immobiliare. Argomentazione che raccoglie gli applausi della affollatissima sala del comune di Roccaraso. Militanti e simpatizzanti del centrodestra hanno ascoltato in silenzio la telefonata e ad alcuni non è sfuggito il gesto di cavalleria dell’ex premier che, per tutto il suo intervento, non ha mai infierito personalmente contro Romano Prodi. Ha citato la frenata sulle riforme, ma per dire che in un certo senso ci è passato anche lui. E che proprio per questo pensa che ora serva, sia a destra sia a sinistra, una federazione di partiti. «So quali sono le preoccupazioni di chi guida una coalizione, soprattutto di una coalizione in cui non vige la regola della democrazia. La differenza tra una coalizione e una federazione è che in una coalizione basta che il partito più piccolo dica no e le decisioni non si prendono. In una federazione, al contrario, la minoranza si adegua alla maggioranza. E di questo ne abbiamo assoluto bisogno per fare ciò che non siamo riusciti a fare nella passata legislatura».
Prodi «è ancora sotto choc» per il ricordo di quando Bertinotti fece cadere il suo primo governo. Ed è per questo che «pensa solo a galleggiare». Ma anche Berlusconi ha qualche cattivo ricordo. Come la rinuncia al quarto modulo della riforma fiscale. Quello che avrebbe ridotto a tre le aliquote sui redditi limitando quella massima al 33 per cento e la cui attuazione «è stata impedita da alcuni alleati». Quando il centrodestra andrà al governo - ha annunciato - il taglio delle tasse tornerà tra le priorità insieme a una riforma della giustizia che dividerà le carriere di giudici e pm.
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