Roma - Ernesto Diotallevi, l’ormai «ex» presunto mandante dell’omicidio Calvi legato alla Magliana, parla per la prima volta. Lo fa di getto, incassata l’assoluzione.
Domanda di routine, se l’aspettava?
«Non è per piaggeria, ma quando ho visto i giudici seguire attentamente tutte le fasi del processo mi sono rasserenato e ho capito che non sarebbe potuta finire altrimenti visto che nel dibattimento era emerso il nulla. La sentenza rende giustizia a un’inchiesta senza senso, senza prove, senza un riscontro alle fandonie dei pentiti».
Venticinque anni di processo non sono pochi.
«Fa più effetto dire un quarto di secolo! Ho subito per decenni le accuse più vergognose, processi su processi uno più antipatico dell’altro, supposizioni indimostrabili. È crollato definitivamente l’intero teorema della pubblica accusa che mi vedeva sempre in mezzo alle storie più oscure. Lo scriva che non sono il mandante dell’omicidio Calvi».
Certo.
«Adesso voglio vedere cosa scriveranno coloro che hanno riempito pagine di giornali, per 25 anni, dipingendomi come il più feroce criminale che avrebbe organizzato il delitto del banchiere. Non è il tempo delle polemiche ma qui ci sarebbe da interrogarsi a fondo su questa vicenda che si è trascinata all’infinito seguendo le piste e le ipotesi più fantasiose, con perizie che si contraddicevano fra loro, per non dire dei pentiti che prima giurano di non sapere niente e dieci anni dopo ricordano tutto».
Omicidio o suicidio?
«Ma che ne so.
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