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L’IDOLO DI MEZZA CITTÀ

L’IDOLO DI MEZZA CITTÀ

Subito un punto fermo. Costituzione della Repubblica Italiana, parte prima «diritti e doveri dei cittadini», titolo primo «rapporti civili», articolo 27, secondo comma: «L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva». Vale per tutti e vale per Preziosi. Tanto più che siamo ancora nelle prime fasi dell’indagine comasca.
I diritti del cittadino sono una cosa talmente seria che non ci si può scherzare e considerare gli arresti domiciliari al presidente del Genoa come una presunzione di colpevolezza. Sarebbe un’aberrazione giuridica che ci porterebbe ai periodi più neri dello scorso decennio. Soprattutto, qui ci sono in ballo i diritti civili di un uomo, tutelati dalla Costituzione e dall’ordinamento giudiziario penale, cosa ben diversa dalla giustizia sui generis dell’ordinamento sportivo. Ordinamento che, però, è il caso di ricordarlo e di scriverlo a caratteri cubitali, viene accettato dalle società nel momento in cui si iscrivono ai campionati. Fa schifo? Può darsi. Ma va detto prima, non dopo.
Insomma - al di là del caso Genoa e dell’inchiesta giudiziaria di Como, che non conosco abbastanza per poter valutare - giù le mani dall’uomo Preziosi. Innocente fino a prova contraria.
Diverso è il caso di Enrico Preziosi presidente del Genoa, idolatrato da mezza città. Fra i tifosi, il patron è assolutamente intoccabile. Si sono schierati con lui come una falange oplitica. Soprattutto quelli che scrivono sui siti internet e telefonano alle televisioni, un popolo nel popolo che va avanti per slogan: «Io sono fiducioso», «C’è un complotto», «Enrico non si tocca», «Tutto è partito da Genova» e si potrebbe continuare per pagine. Ma è anche vero che i rossoblù hanno anche altri tifosi, che non vanno avanti per slogan, e che si trovano in serie C con un pesante fardello di errori legali e penalizzazioni. Che temono di restarci. E i genoani non lo meritano.
Non ho nè i titoli, nè le ricette per dire quale sia la strada migliore per il Genoa di oggi. So però che la piazza non può essere l’unico termometro per misurare la serietà e la forza di una società.

Soprattutto se è la stessa piazza che indica Aldo Spinelli come il male assoluto. Ossia il presidente che ha portato il Genoa ai primi posti del campionato e alla notte di Liverpool. E che oggi è secondo in serie A. Ma col Livorno.

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