MonzaNei loro discorsi cerano attentati da mettere in atto in mezza Brianza. Nel mirino ipermercati come Auchan, Mediaworld ed Esselunga, bar e locali pubblici, caserme dei carabinieri. Tra gli obiettivi anche lufficio immigrazione della Questura di Milano. Piani che avrebbero dovuto diffondere il terrore in Italia e che nelle lunghe chiacchierate in auto, tutte registrate dalla Digos, avrebbero regalato loro «il riconoscimento e la grazia di Dio».
A distanza di un anno trascorso in carcere, Rachid Ilhami, 32 anni, e Gafir Abdelkader, 43 anni, entrambi marocchini residenti a Giussano, sono apparsi per la prima volta in unaula di Tribunale. Ieri, a Monza, si è aperto il processo a loro carico. Le accuse sono a vario titolo di associazione con finalità di terrorismo e favoreggiamento dellimmigrazione clandestina. Sotto accusa anche altri due connazionali, Kalifa Moufakir, 32 anni, e Adil Zaitouni, 30 anni, entrambi ancora ricercati e accusati il primo di avere favorito con Ilhami lingresso illegale nel nostro Paese del fratello di questultimo e il secondo di aver contraffatto una patente marocchina per muoversi liberamente e portare così avanti in complicità con gli altri le finalità dellorganizzazione.
Era il dicembre 2008 quando i riflettori si accesero sul predicatore del centro islamico «Pace» di Macherio, Ilhami, e sul suo connazionale. Le prime avvisaglie risalgono in realtà al 2007, quando la Digos aveva avuto notizia di estremisti che si davano appuntamento in un magazzino alle porte di Monza, nel piccolo comune dove si trova anche una delle abitazioni della famiglia del premier Silvio Berlusconi. Da allora è stato un susseguirsi di «pedinamenti»: in totale 290 intercettazioni ambientali, 162 telefoniche e 124 contatti telematici. Discorsi e circostanze da mettere i brividi. Come nel settembre 2008 quando i due ipotizzavano un attentato in una caserma dei carabinieri: «Tu vai dentro dicevano per esempio in una caserma e ci sono 10, 15 militari, e se li terrorizzassimo?». O ancora: «... di questi cani miscredenti ne devono morire tanti in un colpo solo». Affermazioni che si accompagnavano a vezzi come quello di Ilhami di chiamare il suo secondo figlio Osama, oppure di sollecitare il primogenito a guardare a Osama Bin Laden come a uno zio. Nei capi di imputazione di cui ora dovranno rispondere cè una fotografia di quella strategia del terrore.
Attentati, ma non solo. Un elenco di obiettivi sensibili da colpire utilizzando automezzi pesanti o ambulanze cariche di esplosivo o di più rudimentali bombole di gas, tra cui il supermercato Esselunga e il Mistral Cafè di Seregno, le caserme di Desio e Giussano e i vari iper della zona. Accanto a questo, lopera di indottrinamento e proselitismo con dvd, file audio e video istiganti al suicidio, siti jihadisti e gli incontri allinterno del centro di Macherio. Secondo laccusa gli imputati avrebbero inoltre favorito lingresso illegale in Italia di extracomunitari di passaggio verso Siria, Afghanistan e Irak, provvedendo al procacciamento di documenti falsi e alla raccolta di finanziamenti per favorire le attività terroristiche. Ieri le prime schermaglie tra accusa e difesa. I legali dei quattro imputati hanno presentato delle eccezioni procedurali, tra cui la più «pesante» quella avanzata dallavvocato di Ilhami, Sandro Clementi che ha chiesto lannullamento del decreto di rinvio a giudizio per indeterminatezza del capo dimputazione che fa riferimento ad Al Qaeda, ma inserisce lattività dei due marocchini nel quadro di condivisione degli obiettivi con altre organizzazioni come il Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento. Eccezioni tutte respinte. La strategia difensiva sarà improntata a dimostrare che Ilhami e Abdelkader in realtà sarebbero stati estranei alla rete terroristica e di fatto anche alla reale intenzione di mettere a segno gli attentati di cui continuavano a parlare.
Limam voleva far esplodere Auchan ed Esselunga
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