«N ato bastardo, cresciuto Imperatore, divenuto signore del mondo e morto solo come un cane, in odore ramato di santità». Con queste poche sintetiche parole lo scrittore novarese Simone Sarasso sintetizza la complessa figura di Costantino. Non era mai stato scritto, almeno fino ad oggi, un romanzo sulla vita, le avventure e le sofferenze di questo complesso personaggio storico. E, nellanno in cui si celebra la 1700ma ricorrenza della Battaglia di Ponte Milvio che vide trionfare Costantino il 28 ottobre del 312 d.c sul suo avversario Massenzio, Simone Sarasso vince la sua sfida con i lettori riuscendo a vendere in poche settimane più di ventimila copie del suo Invictus. Costantino limperatore guerriero (Rizzoli, pagg. 578, euro 8,80). Si tratta di una biopic tuttaltro che politically correct e che anzi predilige i toni particolarmente efferati e che è stata scritta con il ritmo di un noir o di un pulp americano da un autore che viene proprio da quel mondo letterario. Sarasso decide così di fare suoi per Invictus gli insegnamenti di autori come Valerio Massimo Manfredi, Ken Follett e Robert Graves e si insinua fra le pagine della storia consapevole che per renderla spettacolare bisogna saperla raccontare con la giusta dose di sangue, suspense e documentazione storica. Il giovane autore ammette di avere dato ritmo alle vicende avendo ben presente i risultati spettacolari di pellicole come Il gladiatore di Ridley Scott o 300 di Zack Snyder e di avere tenuto come modello di riferimento anche recenti serial televisivi come Spartacus.
Sarasso ha fatto poi sue le testimonianze depoca raccontate da Eusebio di Cesarea in Vita di Costantino e ne La Storia Ecclesiastica ma anche quelle di Eusapio in Vite di filosofi e sofisti e le ha mescolate alle ricerche storiche di Jacob Burckhardt e Eberhard Horst cercando di far parlare i suoi personaggi in maniera sguaiata e diretta, senza inserire né barocchismi né citazioni troppo auliche. I legionari romani che marciavano sui campi di battaglia non potevano certo parlare in maniera colta e raffinata e quel ragazzo «allevato a sangue e metallo», quel soldato imperatore che crebbe in mezzo a loro non poteva che esprimersi come loro, una volta vinta la sua giovanile timidezza.
In Invictus è lo stesso Costantino a decidere di rievocare la propria vita, quando ormai sente avvicinarsi la fine e a sorreggerlo è ancora il fido Eusebio di Cesarea. Un uomo probo a cui limperatore cerca di spiegare ogni «singolo passo da lui compiuto, ogni sacrificio, ogni battaglia, ogni sopruso», ogni singolo evento destinato a «finire sulla bilancia di Dio» alla fine dei suoi giorni. Da questa rievocazione nasce il racconto duro e sincero del figlio di una «stabularia» (locandiera), diventato uomo impugnando la spada, un ragazzo «dal collo troppo grande e con il viso bello come quello del Dio Apollo» che nasconde in sé una forza fisica spaventosa e che è capace di tenere a freno una incredibile rabbia. Sarà limperatore Diocleziano a insegnare sul campo di battaglia a Costantino come farsi rispettare dagli uomini, come diventare davvero un condottiero rispettato e temuto da tutti. Sarà quindi il Dio dei Cristiani (sì proprio quegli uomini visti da lui torturati e martirizzati quando Costantino era un bambino) da lui abbracciato come fede a portarlo ad affiancare lAquila romana alla Croce, a convincerlo, dopo una mistica visione avuta in marcia, a mettere quel simbolo sacro sugli scudi dei suoi uomini per renderli imbattibili ma soprattutto riconoscibili sul campo di Battaglia di Ponte Milvio.
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