Dopo l’incendio, guerriglia con caccia al clandestino

A Lampedusa, i tunisini rifiutano il rimpatrio e minacciano di far esplodere un distributore di carburante. Gli abitanti esasperati li prendono a sassate. Il Viminale: in 48 ore gli stranieri saranno trasferiti ed espulsi

Dopo l’incendio, guerriglia con caccia al clandestino

Lampedusa - L’isola di Lampedusa è stata messa a ferro e fuoco ieri mattina dagli extracomunitari che rifiutano il rimpatrio. Dopo avere dato alle fiamme uno dei tre padiglioni del centro di accoglienza, un gruppo nutrito di tunisini, oltre cinquecento persone, ha cominciato a sfilare per le vie dell’isola gridando «libertà, libertà». La situazione è degenerata quando i clandestini hanno raggiunto una pompa della benzina dove si trovavano alcune bombole del gas. Alcuni di loro si sono impossessati di tre bombole, minacciando di farle esplodere. A quel punto le forze dell’ordine, in tenuta antisommossa, sono entrate in azione.
Ed è scoppiato il finimondo. Gli irregolari hanno cominciato a lanciare pietre e altri oggetti verso la polizia. La tensione è cresciuta notevolmente quando diversi abitanti hanno cercato di venire incontro ai poliziotti scagliando anche loro all’indirizzo dei clandestini delle pietre. La fitta sassaiola è andata avanti per qualche minuto. I feriti, tra forze dell’ordine e clandestini, sono stati in tutto una ventina. Sono stati medicati nel Poliambulatorio dell’isola. Per uno dei tunisini, in stato di semicoma, il responsabile sanitario, Pietro Bartolo, ha chiesto il trasferimento urgente a Palermo in eliambulanza. In tutta l’isola è scattata una sorta di caccia all’uomo, tanto da costringere il dirigente scolastico locale a chiudere il portone della scuola e a chiedere agli insegnanti di vigilare sugli alunni e al personale di controllare gli accessi. C’era il timore che i migranti che vagavano per l’isola potessero aggredire bambini e ragazzi. Ronde di lampedusani sono andate in giro per l’isola a caccia di tunisini. Un lampedusano ha preso a calci un tunisino in fondo a via Roma, sotto gli occhi della polizia in antisommossa che è subito intervenuta, caricando l’immigrato nel furgone di Lampedusa accoglienza. Sono stati anche aggrediti, dalla popolazione locale, i giornalisti di Sky e della Rai presenti sull’isola. Dal Viminale, il sottosegretario Sonia Viale afferma che: «Gli atti vandalici e le rivolte poste in essere dai cittadini tunisini a Lampedusa nascono dalla loro consapevolezza di essere rimpatriati. Tali episodi di inaccettabile violenza non modificano il piano dei rimpatri, che prosegue e non subirà rallentamenti». Il sottosegretario ha assicurato che in 48 ore tutti i clandestini verranno trasferiti per poi essere rimpatriati. Il sindaco di Lampedusa, Bernardino De Rubeis, molto preoccupato si è barricato all’interno del municipio con una mazza da baseball nel cassetto. «In caso di necessità posso anche utilizzarla - ha riferito -. Qui c’è in atto una guerra. Non è possibile continuare su questa strada. Alle associazioni umanitarie dico: non vi permettete di accusare di razzismo i lampedusani, hanno dato fin troppo. Siamo in guerra, la gente a questo punto ha deciso di farsi giustizia da sola». De Rubeis, che ha avuto un colloquio telefonico con il ministro Maroni, ha aggiunto: «Il Viminale ha già predisposto 11 voli per trasferire nelle prossime ore tutti i tunisini che si trovano ancora a Lampedusa. Maroni mi ha anche detto che Lampedusa non sarà più considerata “porto sicuro”, in quanto priva di centro di prima accoglienza». I migranti in futuro verranno portati direttamente in Sicilia. In un’intervista televisiva il sindaco si è poi rivolto in modo offensivo al presidente Napolitano («muova il c... e venga qui»). De Rubeis si è poi scusato. «È cambiata la tipologia di immigrati che ultimamente sbarcano a Lampedusa, chi arriva vuole essere trasferito subito e questo crea tensione - dice il responsabile del Centro di accoglienza Cono Galipò. Eppure i tempi di permanenza nel centro non sono lunghi.

Dal 1 gennaio al 31 agosto la media è di 5,3 giorni, il picco c’è stato a luglio quando gli sbarchi erano diminuiti e dunque per questioni di organizzazione di trasferimenti con le navi i tempi d’attesa erano più lunghi».

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