L’inchiesta sulla poligamia svela il vero volto dell’islam

La coraggiosa indagine di Stefano Filippi sulla poligamia nel Nord-est, pubblicata su questo giornale, merita qualche riflessione. Il vero problema riguarda la posizione sulla poligamia delle organizzazioni musulmane italiane. Ci sono certamente diverse associazioni musulmane che alla poligamia sono assolutamente contrarie, come la Coreis dello shaykh Pallavicini o l’Associazione delle Donne Marocchine di Souad Sbai. Tuttavia, che ci piaccia o no, queste associazioni sono decisamente minoritarie nel mondo delle moschee. E per quanto non ci piaccia l’Ucoii (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia), oltre che controversa per la sua vicinanza ai Fratelli Musulmani, la casa madre del fondamentalismo internazionale, è la sigla più rappresentata nelle moschee (anche se la grande maggioranza dei musulmani italiani in moschea ci va raramente). La presenza dell’Ucoii nella Consulta per l’Islam italiano (che peraltro ha funzioni, come dice il nome, solo consultive) è molto discussa.
È dunque importante sapere che cosa pensa davvero l’Ucoii della poligamia. Uno dei suoi fondatori, Mohammed Bahà el-Din Ghrewati, ne ha chiesto il riconoscimento giuridico. Il suo presidente, Dachan Nour, dichiara che questa non è la posizione ufficiale di tutta l’Ucoii. Tuttavia qualche giorno fa una professoressa di Letteratura italiana convertita all’islam, che insegna a Genova, e che ha un sito internet molto visitato dove scrive con lo pseudonimo, che rispetteremo, di «Lia», ha querelato il Corriere della Sera, reo di avere pubblicato certe sue e-mail a un altro importante leader dell’Ucoii, un convertito italiano che è forse l’esponente dell’associazione con maggiore visibilità mediatica. «Lia» non nega l’autenticità della corrispondenza, ma contesta che la sua pubblicazione sia legittima.
Pubblicare e-mail intercettate - se davvero è andata così - non è una bella cosa, ma chissà perché nessuno si scandalizza se si tratta di intercettazioni telefoniche coperte dal segreto istruttorio, ma sbattute in prima pagina se riguardano politici del centrodestra o dirigenti di società di calcio. Qui interessa però la sostanza. I documenti mostrano che l’importante dirigente dell’Ucoii in questione, divorziato da una precedente moglie italiana e sposato con una marocchina, ha contratto nel marzo 2006 a Verona un secondo matrimonio, poligamico, in moschea con «Lia». Dopo di che, per ragioni su cui è forse inutile indagare (fra moglie e marito - poligamo - non mettere il dito), ha ripudiato «Lia», e quest’ultima ha scatenato una campagna a favore dei diritti delle mogli ripudiate dai mariti islamici in genere, protestando anche contro «l’uso becero della poligamia». Chiusa la porta e lasciati gli ex-coniugi poligami a litigare fra loro, la domanda da porre all’Ucoii è questa: volete o non volete la poligamia in Italia? Se non la volete giacché - come avete più volte dichiarato - avete il massimo rispetto delle leggi italiane, perché uno dei vostri dirigenti più in vista la pratica? Non serve rispondere con l’argomento tecnico che, quando non si chiede validità civile per il secondo matrimonio, non si tratta di bigamia vietata dalla legge.

Questo va forse bene per il giudice penale: ma non per la politica, che deve sapere se l’organizzazione che controlla la maggioranza delle moschee italiane predica, pratica e gestisce in privato la poligamia mentre dichiara il contrario in pubblico. E, quanto ai rapporti fra Stato e Ucoii, deve regolarsi di conseguenza.

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