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L’inchiesta di Trani non convince il Pd Casson: «Perplesso»

RomaNon è certo un persecutore di innocenti magistrati, né un simpatizzante berlusconiano. Anzi: Felice Casson è un ex Pm - una «toga rossa», si potrebbe dire - e un senatore, prima dei Ds e poi del Pd. Ma anche lui si confessa «perplesso» di fronte all’inchiesta di Trani.
Perplessità tanto più significativa perché espressa da uno che di inchieste scottanti ne ha maneggiate tante, e che Casson sintetizza così, parlando delle intercettazioni del premier commissionate dal Pm pugliese: «Assodato che è un caso di malcostume, sotto il profilo penale è davvero difficile da stringere». È cauto, il senatore Casson, ma l’ipotesi di reato ipotizzata dagli inquirenti non lo convince per nulla: «La concussione è una fattispecie sfuggente, complicata... Boh, ho dei dubbi: è un reato molto grave, ma anche difficile da provare».
Più esplicito Fabrizio Rondolino, l’ex portavoce di D’Alema a Palazzo Chigi che oggi anima il sito di informazione politica «The Frontpage». «Ma su che diavolo sta indagando la procura di Trani? Di che accidenti sta accusando il direttore del Tg1, il presidente del Consiglio e il commissario dell’Agcom? Di essere rimasti troppo al telefono a spese dell’erario? Di aver manifestato un’opinione avversa ad Annozero e a Scalfari? O di non aver condiviso le dichiarazioni di Spatuzza, giudicate non credibili dalla stessa corte?». Il reato non si comprende, secondo Rondolino, nonostante quei «verbali messi cortesemente a disposizione de Il Fatto dalla Procura, a quindici giorni dalle elezioni». L’effetto politico di tutto ciò? Un probabile boomerang: «È un copione già visto mille volte, si trasforma la campagna elettorale in un referendum pro o contro Berlusconi, e di solito lo vince Berlusconi». Un dubbio che assale più di qualcuno, nel centrosinistra. «Mi pare un’inchiesta talmente idiota da far venire il sospetto che sia Berlusconi a pagare quel Pm...», sbuffava sabato un esponente dalemiano del Pd sotto il palco di piazza del Popolo. «E con questo diluvio di intercettazioni a vanvera regalate ai giornali amici si finisce per fare il gioco di chi le vuole proibire».
In privato (e al riparo da intercettazioni moleste) diversi dirigenti del centrosinistra esprimono su Annozero giudizi non molto dissimili da quelli berlusconiani. Ma non possono farlo in pubblico, tanto meno sotto elezioni. Ecco dunque D’Alema che condanna come «barbarie» il fatto che il premier, invece di occuparsi della disoccupazione «si occupa di far chiudere una trasmissione». Ed ecco Piero Fassino che definisce «squallida» la telefonata tra Berlusconi e Augusto Minzolini. Ma pure Fassino, che da ex Guardasigilli mastica la materia, mette in guardia: un conto è l’aspetto del «costume politico», tutt’altro quello penale: «Saranno i magistrati a stabilire la consistenza delle telefonate». E in verità persino Tonino Di Pietro evita di spalleggiare apertamente i Pm di Trani, le cui inchieste potrebbero rivelarsi solide quanto quelle del suo amico De Magistris. E sta ben attento a precisare: «Denuncio politicamente il comportamento del capo del governo. Al di là della valenza penale, o meno».

Più meno che più, sembra sospettare l’ex Pm.

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