nostro inviato a Livorno
È tutto vero. Non bisogna fare una tragedia di quello 0 a 2 rimediato mercoledì sera a Livorno dalla Nazionale di Donadoni. Non bisogna neanche lasciarsi deprimere dalle rare note positive rilanciate dai giornali: Liverani, alter ego di Pirlo, più Terlizzi e Rocchi. Punto. Ma trascurare il resto sarebbe un gravissimo peccato di presunzione, aggiunto allo sfondone della scelta di una sede disonorata dalla curva degli ultrà. A cominciare dal ritardo di condizione fisica mostrato dal calcio italiano nelloccasione. Non sarà colmato in un paio di settimane. E ai primi di settembre arrivano un paio di appuntamenti, Lituania a Napoli e lattesa rivincita con la Francia a Parigi, che fanno tremare i polsi e possono orientare subito lesito del girone di qualificazione europeo. Poi cè un altro aspetto da tenere sotto controllo. In Nazionale si colgono al momento due tendenze: da una parte i reduci da Berlino, parliamo non di dirigenti, ma di massaggiatori e magazzinieri, ridono e scherzano anche nella sera di un tormentato debutto, si sentono campioni del mondo e viaggiano sulla nuvoletta, dallaltra Donadoni e gli esponenti del suo staff appena arrivati che devono entrare in sintonia con lambiente, capire i problemi, risolverli, prevenirli nella migliore delle ipotesi.
Anche Donadoni, da questo punto di vista, è sotto esame, sotto pressione. Nessuno vuole mettergli sul conto la sconfitta contro la Croazia ma ora cè bisogno di uno scatto, di un colpo di reni. Da calciatore, luomo triste e solitario, ebbe bisogno solo del proprio talento per lasciare il segno. Qui deve invece uscire dal guscio della propria timidezza, tirare fuori gli artigli e prendere di petto i problemi iscritti allordine del giorno. Come, ad esempio, lincontro decisivo da tempo invocato con Francesco Totti. Il primo faccia a faccia, dallesito incerto e interlocutorio, è il segnale di un qualche disagio. A Lippi, Totti non avrebbe detto «ci risentiamo»: dentro o fuori, prendere o lasciare.
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