L’incredibile caduta del Paese dei geyser

La crisi islandese inizia nell’autunno del 2008, colpendo fin da subito anche la Gran Bretagna. Non appena a settembre il primo ministro conservatore Geir Haarde confessa drammaticamente che il Paese «rischia la bancarotta» e annuncia la nazionalizzazione della banca Landsbank - i guai iniziano anche per i clienti britannici della controllata Icesave. La banca online aveva allora circa 350mila correntisti divisi tra Regno Unito e Olanda e contava depositi per un totale di 4,5 miliardi di sterline. E molti di loro scoprirono da un giorno all’altro di non poter né ritirare né depositare denaro sui libretti di risparmio. Il crollo delle banche, del sistema finanziario, la crescita improvvisa della disoccupazione, del tasso d’inflazione e il crollo della valuta gettarono il Paese nella crisi politica e innescarono una serie di inedite manifestazioni e proteste violente contro il governo di centrodestra che fu costretto a dimettersi in favore di un esecutivo a interim. Ad aprile 2009 nuove elezioni hanno portato al potere l’attuale governo social-democratico. L’Islanda svolta a sinistra dopo 18 anni di esecutivi conservatori e di politica economica ultra-liberista che l’hanno portata alla bancarotta affidandosi alla leader europeista Johanna Sigurdardottir, che ha guidato per tre mesi il governo di transizione, per uscire dalla grave crisi economica.

La coalizione al potere è formata oggi da socialdemocratici e verdi di sinistra ha la maggioranza assoluta in Parlamento. La premier, prima donna alla guida dell’esecutivo islandese, è anche il primo capo di governo dichiaratamente omosessuale al mondo.

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