«Le imprese del farmaco esportano molto più della media: nel 2006 nove miliardi e trecento milioni, un valore superiore e non di poco agli otto miliardi e cento milioni che ricavano dalla spesa pubblica in farmacia. Negli ultimi tre anni hanno fatto aumentare in percentuale gli investimenti in ricerca quasi il doppio del fatturato. Distribuiscono ogni anno ai propri dipendenti un monte salari di oltre 4 miliardi. Un importo nel 2006 pari a quello della spesa per farmaci distribuiti nelle strutture pubbliche». Questi i dati essenziali dellindustria farmaceutica italiana che il presidente Sergio Dompé, appena confermato per altri due anni al vertice di Farmindustria ha presentato alla assemblea tenutasi ieri a Roma al teatro Capranica, alla presenza del presidente del consiglio Romano Prodi, del presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo, del ministro della Salute Livia Turco e del ministro dello Sviluppo economico Pierluigi Bersani.
Dopo i ringraziamenti di rito per il segnale di attenzione dato dal governo con la sua presenza allassemblea, Dompé ha sottolineato il ruolo strategico che lindustria del farmaco svolge a favore dello sviluppo del Paese: «Assumiamo laureati e diplomati in una quota pari al 90% e generiamo occupazione in altri settori per 55.000 addetti, che si aggiungono agli oltre 73mila diretti. Esportiamo sino al 90% della produzione, come accade nellarea dei macchinari specializzati per la farmaceutica. Generiamo inoltre direttamente un miliardo e 600 milioni tra tasse e altri oneri, un importo determinato per un terzo da misure fiscali specifiche, al quale si aggiungono contributi sociali per un miliardo e 300 milioni. Tutto questo a fronte di un utile netto pari a circa un miliardo: una sproporzione che dimostra come sulle imprese gravi un onere fiscale assurdo e punitivo, che soffoca le imprese e con il quale non si riesce più a convivere». Ma ciò che forse penalizza maggiormente le industrie farmaceutiche è la mancanza di certezze ed il quadro sfavorevole nel quale devono operare. «La totale mancanza di programmazione, il continuo cambio delle regole, i prezzi dei medicinali tagliati da 18 provvedimenti, dalla Finanziaria 2001 in poi hanno allargato il divario ha affermato il presidente Dompé con i principali Paesi europei mediamente dal 20 al 30%, con costi spesso più alti in aree quali lenergia ed i trasporti e con un carico fiscale in media del 65%, ma con punte anche superiori».
Per dimostrare le penalizzazioni che limpresa del farmaco deve sopportare, Dompé ha ricordato che i tagli stabiliti dalla legge Finanziaria 2007 sullintera sanità incidono per il 50% sul settore farmaceutico, che rappresenta il 16% della spesa. Il comparto produce valore, ma non può certamente farlo allinfinito, investendo senza poter sperare in un ritorno economico neppure dopo circa dodici anni.
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