Roma - Non è uno studente. Non è un agente infiltrato. Non è un black bloc. È un pizzaiolo precario il responsabile del più grave atto di violenza dello scorso 14 dicembre a Roma: il brutale colpo di casco che ha messo ko il quindicenne Cristiano, ripreso da un manifestante in un video rimbalzato su siti e tv che appare a ogni visione più raccapricciante. Il minorenne si trova tuttora all’ospedale San Giovanni, dove oggi sarà operato per ridurre la frattura scomposta al naso. A procurargliela è stato, in quel delirante martedì, Manuel De Santis, 21 anni, che sabato scorso ha presentato alla Procura di Roma, a mezzo dei suoi avvocati, una dichiarazione nella quale si prendeva la responsabilità del gesto. Gesto peraltro probabilmente non isolato: ieri è spuntato un nuovo video in cui si vede una persona vestita come De Santis (cappello con visiera, giubbotto nero con cappuccio, jeans e la falda di un maglione scuro legato alla vita che spunta all’altezza del sedere) sferrare un altro colpo di casco a una persona probabilmente più fortunata di Cristiano.
Si tratta della dimostrazione che dal «Bloody Tuesday» non escono vincitori e vinti, ma solo sconfitti. E si tratta ancora dell’ennesima bufala smascherata a proposito delle ore in cui Roma è stata oltraggiata, in cui i poliziotti sono stati scambiati per sagome di un tirassegno, in cui il movimento studentesco ha visto annegare le sue idee in un mare di violenza. Assieme al pizzaiolo precario agiva infatti un altro teppista che era stato ripreso in un fermo immagine mentre faceva un gesto che poteva essere scambiato per un saluto romano. E questo aveva scatenato i soli romanzieri, a caccia di infiltrati e di provocatori fascisti. Perché la violenza non può che essere di destra. Invece De Santis è descritto come un uomo di sinistra, un «cane sciolto», dicono i suoi legali. Tesi, questa, che agevolerà lo scaricabarile tra le mille anime antagoniste. E già ieri su Indymedia, il sito di informazione alternativa, spuntavano «post» in cui il pizzaiolo veniva definito «infame». Tutto, pur di rifiutare «il becero tentativo di ricondurre la manifestazione a mera esplosione di violenza cieca e distruttiva, a cui far seguire l’approvazione di nuove norme repressive».
La verità è che il pizzaiolo si trovava in piazza come parte di quel magma di varia umanità antagonista che ha «sequestrato» la manifestazione, che ha legittimato la violenza contro poliziotti e manifestanti dissenzienti, che nella protesta studentesca ha visto l’occasione per sfogare la propria frustrazione e l’antiberlusconismo di maniera. Le immagini amatoriali dell’aggressione sono allucinanti, e non solo per il «tump» del casco che spacca il naso di Cristiano. Stupiscono perché nessuno ha fermato De Santis né prima dell’aggressione né - soprattutto - dopo. Le immagini lo inquadrano pochi secondi dopo l’aggressione indisturbato stringere ancora la sua arma impropria. Con tutta probabilità ore dopo vagava ancora, impunito, per le strade di Roma con la sua furia cieca, mina vagante tra mille altre mine vaganti.
Poi, molti giorni dopo, è arrivato il momento del rimorso e delle spiegazioni. Quello che De Santis dirà agli inquirenti, che lo ascolteranno nelle prossime ore, non lo sappiamo. Quello che ha fatto sapere ieri per bocca del suo legale è quanto meno sconcertante: avrebbe colpito con rabbia e di spalle Cristiano «per evitare che la manifestazione diventasse violenta». Per questo motivo «si è lanciato contro i manifestanti che attaccavano le camionette della polizia e che avrebbero voluto raggiungere il Senato». Quanto al rimorso, siamo in zona melodramma, con quel tocco familistico così tipicamente italiano. «Manuel è venuto da me con i suoi genitori - dice l’avvocato Mancini - erano tutti sconvolti e addolorati per quanto è successo. È un bravo ragazzo». Definizione, questa, che non si nega proprio a nessuno, evidentemente. L’aggressore e la sua famiglia hanno manifestato l’intenzione di risarcire i danni riportati da Cristiano e di poterlo incontrare. Una deriva perdonista che non incanta il papà di Cristiano: «Penso sia un momento ancora delicato e riflessioni su eventuali perdoni sono ancora premature».
L' "infiltrato" armato di casco? Un pizzaiolo precario
Non è uno studente. Non è un agente infiltrato. Non è un black bloc. È un pizzaiolo precario il responsabile del più grave atto di violenza dello scorso 14 dicembre a Roma: il brutale colpo di casco che ha messo ko il quindicenne Cristiano, ripreso da un manifestante in un video rimbalzato su siti e tv
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