Zitto o paga. Immaginate Gioàn Brera che si ritrova gli ufficiali giudiziari in trattoria con uningiunzione del tribunale. «Dottore, deve pagare». «Cosa?». «Cinquecentomila». «Ma andate in mona». «Scusi dottore ma lei ha scritto abatino». «Lho scritto e lo riscrivo: Rivera, Mazzola, Bulgarelli tutti abatini». «Mi dispiace dottore ma scrivere abatino è diffamazione». A quel punto al dottor Gioàn va di traverso il rosso e qui è meglio chiudere laudio. Brera avrebbe sacramentato in tutti i dialetti del mondo, cacciando a pedate il malcapitato.
Zitto o paga. Immaginate Foscolo condannato per quella storia dei traduttor dei traduttor dOmero, roba che il povero Monti è stato sputtanato finché sole splenderà sulle sciagure umane. Immaginate Mahler costretto a scucire soldoni per aver dato dello «scalzacane» a Puccini alla prima della Tosca. Pensate al ragionier Fantozzi in manette per reato di «boiata pazzesca». Immaginate Massimo Bertarelli inguaiato dallultimo zero appioppato a Fellini o Antonioni. Immaginate Harold Bloom o Fortini, Placido o Benjamin, Bo o Croce, Pasolini o Roland Barthes con la penna imbavagliata e a stroncatura muta. Immaginate tutto questo e più o meno siete in Italia. Lo dicono i giudici: se uno suona male fatevi i fatti vostri. Da oggi, signori, processano anche i fischi e le pagelle del lunedì.
Zitto o paga. È quello che è capitato a un giornalista del Messaggero. Alfredo Gasponi è un critico musicale, una razza in via destinzione. Ogni volta che qualcuno scrive una recensione deve pensare a lui. Ogni giudizio verrà valutato da una corte, da un uomo in toga, da qualche giudice in vena di opinioni artistiche. Cosa è successo a Gasponi? Anni fa, nel 1996, si ritrovò a chiacchierare con Wolfgang Sawallisch, che durante le prove di un concerto era rimasto un po deluso dagli orchestrali di Santa Cecilia. Capita. Gasponi registrò tutto e scrisse le opinioni del direttore tedesco. Ecco lintervista: «A Santa Cecilia non sanno suonare». Il maestro Sawallisch spiegava: «Credo sia meglio lanciare un grido di allarme e cercare di scoprire le cause di questa situazione. Amo questa orchestra e per il suo bene penso sia giusto dire la verità». Quella di Sawallisch era unopinione. Era una critica, dura, dopo una prova dorchestra. Era un grido dallarme. Gasponi si limitava a dire: «Quelle del maestro sono parole su cui bisogna riflettere». Gli orchestrali si sono offesi. Hanno denunciato Gasponi. Il critico è stato condannato in appello e ora deve pagare 500mila euro. Altri due milioni e mezzo li paga il Messaggero. La ratio è che da oggi stroncare un musicista è reato. E questo vale (per affinità) per attori, cantanti, scrittori, calciatori, bocciofili, appassionati di curling e tutto il circo di ballerine, imbonitori e clown. Nessuno «spari» sul pianista.
Il paradosso è che in questo Paese dove si grida alla censura e si scende in piazza per difendere la libertà di stampa a ogni colpo di tosse della Rai il «caso Gasponi» non faccia alcun rumore. Niente. Neppure un Travaglio. Nulla. Neppure una letterina di Reporters Sans Frontières. Nisba. Neppure un appello a Napolitano in difesa della Costituzione, di quellarticolo 21 che vale solo per le querele di Berlusconi. Il silenzio di Gasponi non merita un ditino alzato. E se non ci fosse lassociazione della stampa romana neppure uno straccio di protesta.
A Gasponi non resta che fuggire in Islanda. Lì il Parlamento sta per votare una legge che garantisce ai giornalisti una sorta di «paradiso della libertà dinformazione». LIslanda sarà per il giornalismo ciò che le Isole Vergini sono per il fisco.
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