Roma

L’intellettuale messo in crisi da un topo

Laura Novelli

Un uomo, un topo e un’estenuante faccia a faccia con se stessi. In un’altalena di toni tragicomici che ricapitola questa nostra stramba esperienza del vivere consegnando al pubblico un messaggio di pietosa e sofferta consolazione. Tanto più credibile perché ci arriva dall’intelligenza di Giorgio Gaber e dall’originalità di un monologo che a suo tempo ottenne un clamoroso successo, Il grigio, dove si avverte netto il bisogno di tradurre il proprio disagio di essere umano in una ribellione intima e sommessa. Capace però di chiamarci in causa tutti. E capace, ancora oggi, di colpire nel segno. Oggi che Gaber non è in scena e che il suo spettacolo (scritto insieme con Sandro Luporini nell’88) viene riproposto in una messinscena estremamente moderna, affidata alla straordinaria bravura del trentunenne Fausto Russo Alesi. Siamo di fronte, dunque, a un’operazione molto coraggiosa che, complice la raffinata regia di Serena Sinigaglia, non intende emulare lo stile - peraltro unico - di Gaber, ma semmai allontanarsene per mettere a segno un lavoro «diverso» rispetto all’originale. E per dimostrare che uno spettacolo di Gaber senza Gaber non solo è possibile ma può essere altrettanto coinvolgente e incisivo. Qualità che a questo prezioso monologo vanno riconosciute senza remore, anche perché ci offre l’occasione di rileggere nel corpo, nella voce, nelle espressioni mimiche, nei registri emotivi di un egregio Russo Alesi tutte le sfumature più argute e sottili di un testo di prosa pura (Gaber per la prima volta si distaccò qui dal modello del «teatro-canzone») davvero splendido. Apparentemente semplice la trama: un intellettuale stanco della routine si ritira in una casa isolata dove, però, si trova costretto a convivere con un topo inopportuno che, sopravvissuto incolume ai suoi bizzarri trabocchetti da cacciatore inesperto, diventa un sorta di specchio psicanalitico da cui sembra impossibile fuggire. Quell’animaletto caparbio finisce, infatti, col disarcionare l’uomo da tutte le sue convinzioni: l’amore, i figli, la professione, gli amici, la società, la cultura, le ideologie, la religione vengono rimescolati in un progressivo esame di coscienza che, tra estenuanti (nonché divertenti) trappole a base di veleno, colla e tubi incandescenti, sconvolge l’intera percezione di sé e arriva, inaspettatamente, a un proclama di pietas umana sintetizzato nell’immagine di una giacca: involucro misterioso di quel «passante visto di spalle» che l’autore erge qui a emblema dell’umanità. Ma nulla di tutto questo potrebbe giungere agli spettatori senza la sensibilità interpretativa di Russo Alesi. Chiuso in una scatola di vetro che non gli concede nulla se non che i suoi stessi abiti, l’attore siciliano attraversa con estremo eclettismo tutti i diversi passaggi del testo, strappando, dopo due ore di monologo, applausi sinceri che lo premiano a prescindere dai possibili confronti con chi purtroppo non c’è più.
In scena all’Eliseo fino al 5 giugno. Info: 06/488721.

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