L’INTERVENTO

In questi giorni si celebrano i 30 anni delle legge 180. Luci ed ombre hanno accompagnato i tre decenni di una legge che rivoluzionò la psichiatria e non solo. Oggi però dobbiamo porci una domanda. Eccola: è necessario ripensare l'organizzazione dell'assistenza psichiatrica in Italia? La risposta è sì, se pensiamo che dopo 30 anni di demanicomializzazione il 70% degli italiani, se avesse un figlio malato di mente, se ne vergognerebbe e lo nasconderebbe agli altri (questo si chiama stigma). Sì, se pensiamo che l'ideologia ancora condiziona l'approccio terapeutico (la demonizzazione degli psicofarmaci, la difficoltà di ricoveri prolungati, l'incredibile burocrazia che riguarda i cosiddetti ricoveri obbligatori, la chiusura delle Case di Cura Neuropsichiatriche, l'anacronistico divieto alla scelta della struttura psichiatrica da parte del paziente, che in molte regioni è obbligato a rivolgersi solo alla struttura competente per territorio e non per qualità). Sì, se pensiamo allo stato di disfacimento dei Centri di Salute Mentale, alla demotivazione degli operatori, alla indefinitezza del ruolo dello psichiatra. Sì, se pensiamo che le strutture pubbliche a malapena si occupano dei cosiddetti pazienti psicotici e che la gran parte dei pazienti affetti da depressione, attacchi di panico, anoressia preferiscono rivolgersi a strutture private o rivolgersi a nessuno.
Ci sono molti altri motivi, che spingono a rivedere le modalità con cui in Italia viene erogata l'assistenza psichiatrica: la mancanza di raccordo fra le strutture della neuropsichiatria infantile e quelle della psichiatria adulta, la mancanza di risposte al disagio psichico ad esordio nell'adolescenza, l'incredibile assenza di collegamenti efficaci fra strutture per le dipendenze e strutture psichiatriche, il fallimento di alcuni concetti cardine residui dell'ideologia antipsichiatrica (la presa in carico totale, la non possibilità di scelta del curante per i pazienti psichiatrici, la cosiddetta équipe multidisciplinare), il sostanziale degrado dei Centri di Salute Mentale e la strisciante neomanicomializzazione in atto, la disorganizzazione che riguarda i servizi per l'emergenza psichiatrica.
Il disagio mentale (alcuni direbbero più correttamente la malattia mentale) è in incremento, sia negli adulti, che nei bambini e negli adolescenti. Alcuni episodi di cronaca generano allarme sociale, perché evidenziano le crepe dell'assistenza psichiatrica oggi. Inoltre l'espressività sintomatica si sta modificando (assistiamo per esempio ad un incremento delle dipendenze comportamentali e dei disturbi depressivi). Insomma, il quadro sembra mutare e le strutture psichiatriche attuali appaiono non solo insufficienti, ma non in grado di corrispondere ai bisogni attuali. In alcuni casi obsolete. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una sorta di clamorosa disattenzione.
Il dibattito che si era acceso circa la necessità di modificare l'assistenza psichiatrica, si è spento ed è calato un agghiacciante silenzio. Ritengo invece che sin da ora sia necessario che quanti si candidano a condurre questo Paese verso una modernizzazione autentica, non trascurino la psichiatria e soprattutto le richieste di quanti soffrono. Nessun cambiamento può avvenire senza il coinvolgimento di tutti i protagonisti, ma è tempo che il tema dell'assistenza psichiatrica torni ad essere dibattuto in modo corretto: il cambiamento è ineludibile e ignorarlo è colpevole.

Finalmente, grazie alle società scientifiche ed in modo particolare grazie alla Società Italiana di Psichiatria, abbiamo una classe di psichiatri moderni, ben preparati ed alieni dall'ideologia. Forse questa è la volta buona per sperare che l'ideologia faccia un passo indietro.
*Presidente Associazione Italiana Psicologi
e Psichiatri Cattolici

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