Il Fus, Fondo unico per lo spettacolo, è stato reintegrato. Il mondo della Cultura esulta per aver vinto una battaglia. Dal Governo, che aveva minacciato tagli drastici, è arrivata una resa rapida e inaspettata di fronte al minacciato sciopero dei lavoratori dello spettacolo.
Premetto subito: non ero d'accordo sulla modalità di questo sciopero, ma sulla sostanza sì. Credo che in teatro, quando si ha da dire qualcosa, si debba restare sul palco, con i riflettori accesi. Così come credo che tagliare le risorse alla Cultura sia una politica miope.
Che poi nel mondo della Cultura in generale e del Teatro in particolare, come in ogni settore dove circola denaro pubblico, vi siano degli sprechi, delle voragini che inghiottono i soldi del contribuente, non v'è dubbio. Ma che uno Stato che voglia essere tale non investa nella Cultura e non sappia incentivare le aziende private a fare della Cultura il proprio biglietto da visita è inconcepibile. Soprattutto è inconcepibile in Italia, azionista di maggioranza dei Beni Culturali del Mondo intero. Che la Cultura sia un volano dell'Economia più potente della Guerra lo sapeva bene Pericle che, investendo in Cultura, nei suoi trentanni di governo pacifico, ha fatto grande la Grecia. Lo sapevano bene pure i Papi liguri, Sisto IV e Giulio II che, spendendo due soldi di più, chiamarono Michelangelo, anziché un imbianchino, a dare un po' di colore alla Cappella Sistina: eternandosi così e creando un discreto business per le casse del Vaticano. Ogni volta che un'azienda italiana vende il «Made in Italy», prima ancora del prodotto, vende la seduzione, la promessa, il ricordo che quel marchio «Italy» genera: il sole, il mare, Venezia, il mandolino, la Mafia, la Ferrari, Berlusconi, la Mangano, la Loren, Visconti, De Sica, Rossellini, Fellini, i tortellini, Valentino Rossi, Pavarotti, Verdi, Rossini, i vini, la torre di Pisa, il campanile di Giotto, Caravaggio, il codino di Baggio, Dante, Petrarca, Boccaccio
Eppure a nessuno viene in mente che su ogni euro guadagnato dal «Made in Italy», su ogni esportazione, una percentuale sul valore aggiunto, dovrebbe andare alla Cultura, come una «royalty» come un diritto d'autore riscosso d'ufficio dalla Siae.
Ciò detto si apre un match politico. Non tanto ideologico, quanto tecnico.
La sinistra conosce fin troppo bene il mondo della Cultura in Italia. La destra non ne ha la più pallida idea. La destra non sa come metterci le mani.
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