L’INTERVISTA 4 JAMES SALLIS

All’ultimo festival del cinema di Cannes la Palma d’Oro per la miglior regia è andata al danese Nicolas Winding Refn per Drive. Protagonista della storia è un uomo che si fa chiamare Driver: è il migliore autista in circolazione sia come stuntman a Hollywood sia al servizio dei rapinatori. L’autore del romanzo omonimo da cui il film è tratto è James Sallis, del quale The Killer Is Dying (Walker&Company) è annunciato come uno dei grandi successi noir dell’estate. «In entrambi i casi - spiega Sallis - volevo scrivere una storia che avesse lo stesso sapore dei paperback con cui sono cresciuto. Volevo realizzare romanzi muscolari, pieni di azione, dei pulp crime classici e datati ma che potessero funzionare ai nostri giorni».
Perché le piace così tanto il noir?
«Il noir è la nostra tragedia. Una tragedia ben diversa da quella del teatro classico, che parla delle nostre piccole vite, marginali, agitate... Il noir ha il suono del blues americano, la sua stessa energia e capacità di esser popolare e di far suonare la realtà».
Quanto di personale ha regalato a suoi personaggi come Driver, Lew Griffin e John Turner?
«Nessuno dei miei protagonisti è me. Né il bambino abbandonato, né il detective bruciato, né il killer a pagamento di The Killer Is Dying. Ma tutti hanno qualcosa di me».
Altri progetti per Hollywood?
«I sei romanzi con il detective nero Lew Griffin sono da tempo opzionati da un’altra casa di produzione. L’attore Lawrence Fisburne si è innamorato del progetto. E spero che presto tocchi anche ai tre romanzi che hanno per protagonista John Turner. Hanno un forte potenziale narrativo».
Che ne pensa del film Drive?
«È favoloso per il modo in cui rimanda ai grandi noir del passato che fanno parte della nostra vita».
E le licenze di adattamento?
«Soprattutto è stato eliminato tutto il background di Driver che nel romanzo ha grande spazio. Ma Nicolas ha tenuto lo spirito della storia, il carattere centrale del personaggio, la sua carica mitica e l’ha reimmaginata per il grande schermo. Ed è riuscito perfettamente a omaggiare sia i paperback degli anni ’50 sia i film e i registi dei classici action-adventure degli anni ’80. Questa è la cifra stilistica di un film che ha assunto una personalità propria».
Ma vi aspettavate di vincere a Cannes?
«Sinceramente... non ci sognavamo nemmeno di andarci. Ma fin dalla prima proiezione mi ha colpito il mood che la pellicola genera nello spettatore».
Drive è anche un omaggio ai maestri del noir americano?
«Sì, a tre grandi scrittori che mi hanno formato come Ed McBain, Donald Westlake e Robert Bloch, ma nel mio libro si può trovare anche un pizzico di Jim Thompson, David Goodis e Chester Himes...».
E The Driver di Walter Hill?
«La cosa stramba è che non l’ho mai visto e non sapevo nemmeno che esistesse fino a quando non ho pubblicato Drive.

Ma come ripeto spesso: mi sono perso buona parte degli anni Sessanta e Settanta perché ero seduto in una stanza povera, da qualche parte, a scrivere. Mi sono perso un sacco di film e anche una parte di vita per lo stesso motivo».

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