L’INTERVISTA ANTONELLO VENDITTI

Milano Comunque gli parli, Antonello Venditti è sempre sorprendente. Da più di trent’anni è, lo sapete tutti, un pezzo della nostra musica leggera, ne ha fatto la storia e ormai ai suoi concerti la platea è (caso rarissimo) multigenerazionale. «Io sono contemporaneo», dice lui. Soprattutto, è curioso e quasi mai autoreferenziale. E lo dimostra anche Le donne, il nuovo doppio cd nel quale ha raccolto quasi tutte le sue canzoni che parlano di quel mondo, le donne, che lui ha raccontato spesso con tanti anni di anticipo sugli altri cantautori. Insomma, da Sora Rosa fino alla nuova Piove su Roma c’è un ritratto fatto di curiosità, sofferenza e piacere che rimarrà a tinte vive ancora per un bel pezzo. «Ma non sono riuscito a inserire in scaletta anche la fondamentale Marta», si lamenta lui, che poi aggiunge: «Però ci sono pezzi come Lilly, che parlava del dolore dell’eroina, o Giulia, che alludeva all’omosessualità femminile, che davvero hanno precorso i tempi».
E adesso, caro Venditti?
«E adesso sto scrivendo un libro che si intitolerà L’importante che tu sia infelice. Uscirà in autunno per Mondadori: è una storia che inizia dal 31 luglio 2007, giorno in cui è morta mia mamma».
Autobiografia compiaciuta?
«No, è un racconto incrociato, duro e ironico, con un inizio e una fine. Parlo di donne? Certo che sì. Ne ho sempre scritto, non posso non parlarne anche stavolta. E continuerò a farlo».
Scriverà anche un brano su Eluana?
«Lei è una martire laica e cristiana, è stata testimone di un errore, il simbolo di un’umanità che tenta disperatamente di porre rimedio alle proprie contraddizioni. Ma nel mio libro parlo del passato, anche delle donne del mio passato. E tutte le donne della nostra vita cominciano sempre dalla mamma, uno non ci fa mai caso eppure è così. Mia madre ha segnato in modo particolare la mia vita e se non ci fosse stata la musica non so come sarei finito. Lei mi vedeva come una nullità. Arrivavano i miei amici e lei diceva: tu canti invece loro sì che hanno un lavoro. Per fortuna amavo tanto la musica da resistere a questi condizionamenti».
Oggi magari non avrebbe resistito. La musica, dicono, è in crisi di vocazione.
«Non direi, il talento in giro non manca. Piuttosto sono in crisi la comunicazione musicale e anche il formato cd, che è stato martirizzato dalla pirateria, che ormai sottrae il 60 per cento degli incassi. Io per fortuna sono uno dei pochi che vende ancora centinaia di migliaia di copie originali».
Adesso la tv prova a dare una mano alla musica. E ci sono programmi di gran successo.
«X Factor mi piace molto, è fatto proprio bene perché parte da una base di verità».
Addirittura.
«Credo che X Factor aiuti la musica. Lì i ragazzi si abituano al sì e al no, come succede nella realtà di noi cantanti. Ma le bocciature dei giudici non sono mai definitive: il no è sempre di incoraggiamento perché l’xfactor ha bisogno delle condizioni giuste, anche emotive e caratteriali, per esprimersi. In più c’è la prospettiva del contratto con una multinazionale come la Sony».
Oggi per molti è un miraggio.
«Siamo in un periodo in cui si taglia tutto, anche agli artisti consolidati. Figurarsi agli emergenti sconosciuti. E poi c’è una particolarità che mi piace di X Factor».
Quale?
«I ragazzi cantano in inglese, non solo in italiano come a Sanremo. Insomma, la scelta delle canzoni è molto varia, i giudici sono bravi».
Mara Maionchi, Simona Ventura, Morgan.

Quali preferisce?
«Lavorano tutti bene, pure Luca Tommassini, che certe volte ti fa letteralmente “vedere” la musica. Ma io adoro Morgan, che ha avuto un percorso esistenziale e professionale interessantissimo. Una volta abbiamo trascorso a parlare quasi tutta la notte».

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