L’INTERVISTA CLAUDIO BAGLIONI

MilanoIntanto lui lo fa. Molti altri colleghi si lamentano, protestano per questo o quel motivo, ma poi rimangono con le mani in mano. Claudio Baglioni no: e O’ Scià, il festival che ha creato a Lampedusa, ha finito la sua settima edizione con il solito parterre di ospitoni, da Fiorella Mannoia a Enrico Montesano, da Gianna Nannini a Daniele Silvestri. «Un piccolo miracolo». L’obiettivo di O’ Scià, casomai fosse poco chiaro, si capisce subito quando si arriva sulla spiaggia della Guitgia dove c’è il palco: ricordare che questa è la porta d’Europa per tanti immigrati e che il problema merita attenzione continua. Certo, fino a poco fa, questa porta veniva spesso presa a spallate costi quel che costi. Adesso a Lampedusa non c’è più un clandestino e ai lampedusani, sembra, non dispiaccia per nulla. E la festa tra le vie, in questi giorni, è stata più rilassata del solito. Però che fatica (per Baglioni).
Nelle venti serate di queste sette edizioni ha raccolto il meglio della canzone italiana. Tutti dal vivo, tutti disposti a improvvisare: neanche il Festival di Sanremo ci riesce.
«Ma non c’è nessun segreto dietro. L’ingrediente chiave è l’autenticità nelle intenzioni e nel messaggio».
Qual è il messaggio?
«Un appello alla politica. Italiana ma soprattutto europea (d’altronde ho suonato a Bruxelles davanti al plenum del parlamento) perché voli alto. Benedetto XVI ha definito le migrazioni “un fenomeno sociale di natura epocale” che richiede “una forte e lungimirante politica di cooperazione internazionale”. Bene, O’Scià, nel suo piccolo, chiede la stessa cosa».
Però il clima è quello dei festival di una volta: si attaccano gli amplificatori e via con la musica.
«Uno spirito che è sopito ma non spento. Basta soffiare e la fiamma si rianima: siamo su di una spiaggia, suoniamo come si suona tra amici».
Difatti tutti gli artisti vengono a titolo gratuito e la gente non paga il biglietto. Però poi uno si chiede: da dove arrivano i fondi?
«Dalle Istituzioni, locali, regionali e nazionali. In particolare la presidenza del Consiglio, nel 2003 a Palazzo Chigi c’era Silvio Berlusconi, ha creduto in questo progetto e lo ha sostenuto».
O’ Scià può fare a meno delle Istituzioni?
«No. E non avrebbe neanche senso. O’Scià non è di parte, ma è sopra e anche vicino alle parti».
Il governo è molto rigoroso nei confronti dell’immigrazione. Però, nonostante pochi ci facciano caso, finanzia O’Scià.
«Suona strano ma non è strano. O’ Scià non è una manifestazione politica o ideologica».
Una rarità.
«Non è antigovernativa né filo governativa. È un tavolo aperto attorno al quale sono invitati tutti coloro che hanno a cuore questo problema».
Come lo affrontate?
«Pensando che le migrazioni non sono un fenomeno passeggero».
Di certo O’ Scià è nato quando il fenomeno ha cominciato a essere impossibile da trascurare.
«Qui però, oltre alle tavole rotonde che precedono i concerti, suoniamo come si suona tra amici».
In fondo, era lo spirito anche della musica, prima che, decenni fa, venisse sbrindellata dalla faziosità.
«Qui facciamo ciò che dovrebbe sempre fare la musica: riunire, far comunicare, emozionare. E, perché no?, far riflettere. Senza quelle rigidità tipiche dello showbiz».
Difatti in «Vivi» lei ha pure duettato con suo figlio Giovanni, chitarrista rampante. Imbarazzi?
«Lui ha una tale faccia tosta che mi tranquillizza. Sembra me che a 4 anni chiedevo a mio padre di annunciare al pubblico la mia esibizione».
Lei ha fatto la sua lunga gavetta. Oggi ci sono i talent show che spesso la accorciano.
«Intanto fanno capire al pubblico che ci vuole preparazione per fare il musicista. Però è anche vero che con troppo studio si rischia di perdere genialità e diventare omologati».
A proposito: ieri c’è stata la manifestazione per la libertà di stampa.
«la libertà di stampa c’è ma non è detto che tutti ne possano approfittare. In ogni caso, sui giornali mi piacerebbe leggere le notizie. Non capisco perché, dopo aver scritto i fatti, si debba entrare in certe pieghe del gossip».


Santoro ne ha appena fatto una puntata. Lei vede «Annozero»?
«C’è un tale can can che non è possibile non guardarlo. Anche se, alla fine, viene il sospetto che gli ospiti si tirino la volata gli uni con gli altri».

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