Settantanni, sieropositivo, una ventina di titoli pubblicati tra romanzi e saggi, Edmund White è uno dei maestri della «letteratura di genere gay», sviluppatasi negli ultimi trentanni del secolo scorso in parallelo ai famigerati gender studies e allindotto accademico-critico che generavano. White era ieri a Palermo per ritirare il Premio Mondello assegnato al suo La doppia vita di Arthur Rimbaud (minimum fax), terzo di una serie di studi biografici (gli altri sono dedicati a Proust e Genet). Lo si può considerare un premio alla carriera, soprattutto a quella del narratore (in Italia pubblicato da Playground).
Mr. White, letichetta di «scrittore omosessuale» è sovente segno di impotenza letteraria...
«È vero. Uno scrittore lo è tout court, senza aggettivi. Questa etichetta poteva avere un senso quando cera parecchia opposizione tra lo scrittore omosessuale e il pubblico. Nel nostro tempo, con unaccettazione sociale e culturale che aumenta di anno in anno, questa etichetta non è più necessaria».
O rimane tale per motivi commerciali...
«In America, sicuramente. Lì molti scrittori fanno parte di una minoranza: dei neri, degli omosessuali, degli afro-cinesi etc. Hanno la necessità di essere identificabili. Vendono per questo. Io adotto la strategia opposta: scrivo romanzi, ma anche biografie, saggi e commedie. Sono molteplice. La diversificazione mi aiuta a guadagnare, ne ho bisogno. Ventanni fa avevo un solo editore, oggi me ne sono dovuti procurare quattro».
Colpa del sistema editoriale?
«Le grandi case editrici puntano su libri da 50mila copie, e sappiamo che i romanzi letterari ne vendono 5 o 8mila, anche negli Usa, che hanno una popolazione cinque volte superiore alla vostra. La mia previsione è che i grandi gruppi editoriali faranno bancarotta e torneranno a vivere, con minor spese, le piccole case editrici. Sta già accadendo: pensiamo alle minuscole Gray Wolf e Copper Canyon o a university press come quella del Wisconsin. La situazione della cultura rimane comunque difficile: per la biografia di Cocteau scritta da un mio amico ho dovuto, alla fine, trovare un mecenate».
A proposito di biografie, lei ne ha scritte di Genet, Proust, e Rimbaud...
«Il contratto con i miei lettori cambia a seconda di ciò che scrivo: nei romanzi puoi dire ciò che vuoi, nelle biografie devi dire la verità. Per quella su Genet ho fatto sette anni di ricerche e interviste a centinaia».
Lei ha vissuto da vicino la cultura francese strutturalista, quella della sparizione dellautore. Dovè finito lautore?
«Da nessuna parte. Quello che dicevano Foucault e Barthes era meno vero a quel tempo che oggi. Insegno a Princeton e i miei allievi studiano testi anche molto lunghi presi da Internet. Lultima cosa che si chiedono è chi li ha scritti. Il paradosso è che gli editori, invece, tendono a personalizzare: il mio City boy, ritratto della New York degli anni 70, fu accettato solo quando lo misi in prima persona omosessuale. Gli autori sono meno narcisi di quanto li vorrebbero gli editori. Ho scritto tre romanzi non gay che sono stati pressoché ignorati».
Esiste unossessione identitaria, oggi?
«Viviamo in un periodo molto rigido, circa lidentità. Nell800, che amiamo pensare bigotto, le esistenze erano molto più fluide, libere, soprattutto prima del processo a Oscar Wilde. Il caso di Verlaine parla da sé: era bisessuale, oggi lo tirerebbero da una parte o dellaltra. L800 si basava sul non detto: proprio perché non si parlava di alcune cose, queste potevano accadere. Il vocabolario era pre-freudiano: Proust, che non lesse mai Freud, inventò da sé lo stile per far vivere le sue psicologie. Anche il dimenticato Francis Carco usò questa vertiginosa libertà nel suo Jésus-la-Caille».
Barack Obama ha però vinto rimarcando la sua identità ben poco fluida...
«La base elettorale di Obama è nera, cioè religiosa.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.