RomaMentre gli artisti né-né (né bravi, né irrinunciabili) strepiticchiano per i tagli allo spettacolo, richiesti dalla crisi attuale, c'è Enrico Montesano, autore eclettico di lungo corso, che tira dritto per la sua strada. I giovani apprezzano su YouTube le gag fulminanti del comico romano classe '45 e gli sketch d'una tivù vintage anni Settanta. I meno giovani, in quest'estate di repliche, lo rivedono volentieri in Supervarietà, come Conte Tacchia o Felice Allegria. «Ho fatto cinque milioni di ascoltatori a costo zero: il pubblico di Raiuno gradisce», commenta lui, che al cinema (una cinquantina i film all'attivo), ha lavorato con Monicelli, Steno, Lina Wertmueller, i Vanzina. Montesano torna ora sul piccolo schermo, su Raiuno, dal quale manca da cinque anni (dall'epoca di Trash). «Non lavoro dal 2004», dice l'ex-candidato del disciolto Partito Democratico della Sinistra, che nel 1994 lo fece approdare al Parlamento europeo. Intanto si prepara al teatro, villeggiando sulla costa laziale, insieme alla moglie Teresa Trisorio, che gli ha dato due figli: Marco Valerio, 12 anni, e Michele Enrico, 15 e mezzo.
Caro Enrico Montesano, la rivedremo in tivù, a novembre?
«Vogliamo dire: menomale!? Non mi sono mai lamentato. Eppure Trash andò molto bene, mi chiamarono Celentano e Fiorello per complimentarsi».
A che cosa si deve questo silenzio quinquennale?
«Bisogna chiederlo al direttore di rete che c'era prima. Intanto voglio ringraziare Mauro Mazza, il neo direttore. Magari si tornerà alla tivù dei professionisti, quella che facevano Falqui o Sacerdote. Perché un artista, insomma, qualcosa deve saper fare».
Che cosa farà?
«Ancora non lo so, però l'idea del programma c'è. Non si vive di soli reality».
Ha qualcosa contro i reality, che incontrano tanto consenso?
«Nei reality e nella tivù di oggi, il divismo è separato dal professionismo. Si diventa famosi, perché si appare. Ma che sai fà? Sai cantà? No. Sai ballà? No. Sai raccontà 'na barzelletta? No».
Ecco, adesso il ministro Castelli insorgerà contro il predominio del romanesco...
«Ma quella di Castelli è un'idea giusta: se c'è da vedere un bel film in lombardo, perché no? E' una ricchezza per il nostro paese. Ma non è colpa di Mastroianni, o Sordi, o Manfredi, se erano nati dalle parti di Roma ed erano grandi attori».
Già che ci siamo, ha visto che Schwarzenegger è andato in tivù con un coltello, per spiegare che occorrevano i tagli, pure allo spettacolo? Favorevole o contrario?
«Sono favorevole ai tagli. Il male del nostro Paese è affondare le mani nei soldi pubblici. Riducete le tasse, dico io, gli oneri sociali».
Chi ha talento, ce la fa comunque?
«Sì: bisogna saper fare qualcosa! Chiaro, non tutti possono essere Mozart: ci vuole pure Salieri... E non tutti devono essere Sarah Bernhardt oppure Orson Welles».
La sue esperienza politica l'ha delusa o il cuore batte ancora a sinistra?
«Destra
sinistra
La divisione è obsoleta. Io credo nel trasversale: sopra e sotto. Però no, il mio cuore non batte più da nessuna parte: ho un cuore artificiale. E sono pragmatico: discerno tra chi fa bene e chi ruba».
Ha lavorato in varie commedie all'italiana: perché, secondo lei, il genere veniva considerato di serie B, fino a ieri?
«Per troppa ideologizzazione. Nei Settanta ci voleva Brecht, guai a far ridere. Però il cinema e il teatro non devono essere organici, né alla Destra, né alla Sinistra: sono oasi di libertà».
A febbraio torna al Teatro Sistina, con la commedia «Un sogno
di famiglia», da lei diretta e interpretata. Di che cosa parla?
«Degli italiani.
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