L’INTERVISTA GINO CORIONI

Presidente Corioni, quanto le manca la serie A?
«Tantissimo. Abbiamo una grande rosa di calciatori, giochiamo bene e aspetto solo che il Padre Eterno ci dia una mano. Anche perché, come bacino d’utenza, Brescia è tra le prime dieci città italiane e dopo le grandi veniamo noi come numero di tifosi».
Ma perché lei si è innamorato del calcio?
«Sono ormai a 44 anni di presidenza, dall’Ospitaletto primo amore dove mi sono divertito per quasi venti anni salvo poi andarmene quando i costi erano lievitati all’impossibile, passando per Bologna e dal 1992 Brescia. Ma fin da bambino erano gli altri a indicarmi come numero uno. Mi appassionava il ciclismo ed ero un campioncino nella corsa campestre».
Sia sincero, da ragazzo tifava Milan?
«Sono nato juventino, adoravo Boniperti ma siccome Juve e Milan non si sono mai odiate, anche il mio sentimento si è imbastardito».
E ha perfino rischiato di diventare presidente del Milan, soffiando la cadrega a Berlusconi.
«È vero, intorno al 1982 col Milan in B mi ero già accordato con Farina. Poi Castagner ha vinto il campionato, è arrivato Liedholm e la cosa si è raffreddata. Nella primavera 1986 si è inserito Berlusconi e per me va bene così, altrimenti chissà quanto avrei dovuto spendere, non ho la sua disponibilità».
È il più vecchio presidente tra i "pro", come età e anzianità di ruolo. Il fatto non le pesa?
«Ma io sono giovanissimo come anagrafe e come funzionamento del cervello, a differenza di certi miei colleghi più giovani. E poi l’esperienza conta».
Cosa rappresenta il Brescia nella sua vita?
«Tanto. Mi provoca emozioni forti: quando vinciamo facciamo felici 60mila abitanti. Invece, quando perdiamo, mi sento in colpa proprio per loro».
È vero che a Brescia vorrebbe costruire uno stadio nuovo?
«Ce la farò, appena passa la legge: vicino all’aeroporto di Montichiari, 25.000 posti coperti a sedere, con palchi e omologazione Uefa. Lo devo a città e tifosi».
Ha visto passare tanti campioni nella sua gestione.
«Li ho tutti nel cuore. Ricordo Cabrini, Pecci, Guardiola, Toni e Robi Baggio. Con tutti sono rimasto amico e appena torno in A ci sarà la fila di giocatori per venire a Brescia».
Tra tante battaglie, ha vinto quella contro il cancro.
«Non l’ho vinta io, ma il buon Dio che ha deciso di non chiudermi il rubinetto della vita».
Il più grosso errore della sua vita?
«Tanti, anche quello di aver ceduto il Bologna per venire a Brescia. Ma ora sono contento di esserci».
Cosa rimpiange di non aver ancora fatto?
«Ho fatto 10 anni in A e altrettanti in B, abbiamo vinto un trofeo Anglo-italiano nel 1994, ma non sono ancora riuscito a creare la squadra che la città di Brescia meriterebbe».
Tratta Gigi Maifredi come un figlio, perché?
«Perché è un signor allenatore. Se alle qualità naturali avesse unito maggior impegno mentale e fisico, sarebbe stato il più grande».
Mourinho avrebbe funzionato con lei?
«Neanche un po’. È un grande attore e psicologo ed è facile vincere con tanti campioni, ma il mio allenatore deve essere come un padre con i giocatori, vedi i casi di Toni e Pirlo».
Però lei si è fatto scappare Balotelli: era a Brescia.
«C’è tutta una lunga storia che un giorno racconterò e mi toglierò qualche sassolino dalla scarpa».
Il Brescia, secondo in classifica, gioca a Lecce contro la capolista. Come finirà?
«Andiamo per vincere, la squadra è forte e ne abbiamo le possibilità.

Anche perché sono stufo di mancare la promozione nei playoff, ora voglio arrivare direttamente in A».
Se dico calciopoli, cosa risponde?
«Dovrei dire qualche parolaccia, lasciamo perdere questo schifo. Ma adesso basta, abbiamo parlato fin troppo. Un saluto a lei e ai lettori del Giornale».

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