L’INTERVISTA PAOLO BONOLIS

Se giri a Bonolis la questione «stress da Auditel», lui parte come un razzo. Si auto-sottopone alla famosa fotointervista, parte clou del suo Senso della vita. «Che debbo di’. Io sono fatto così. Tra lo stare fermo e annoiarmi e rischiare sapendo di poter andare incontro a un flop, preferisco certamente la seconda opzione. In tutti gli aspetti della vita: il lavoro, la famiglia, i figli. Il matrimonio per esempio: è una grande incognita, puoi stare a sfarfallare tutta la vita, ma se vuoi fare qualcosa di bello, avere dei bambini, devi rischiare su una persona».
Venendo a cose più prosaiche: mica facile per un presentatore affrontare il fiasco di un programma...
«È questione di autostima. Se uno crede in se stesso non si fa travolgere da queste disavventure. Una volta la ciambella viene col buco, altre no. Dove lo trovi uno scienziato a cui vengono bene tutti gli esperimenti? Non si può far dipendere la propria serenità dagli ascolti televisivi. Uno fa il suo mestiere e basta, poi i risultati dipendono da tanti fattori».
Cosa pensi dei tuoi colleghi che preferiscono «sperimentare» in orari o canali di nicchia?
«Che fanno bene. Ognuno fa quello che si sente, a seconda anche del momento della vita. Anzi, a volte è meglio far così che affrontare la prima serata con i format comprati all’estero: una parolina magica che poi si traduce in due idee del piffero, ma siccome lo show in questione è già testato fuori dall’Italia, sembra miracoloso».
Una tendenza molto forte sulle grandi reti.
«Appunto. Lo spauracchio degli ascolti porta i dirigenti a scegliere format stranieri o a ripetere all’infinito quelli italiani che hanno avuto buoni risultati. Così si rimane fermi e non si mette in saccoccia niente per il futuro. Preferisco scoprire io la miniera che comprarla da qualcun altro».
Non per essere ripetitivi, ma anche lei ogni tanto accetta questo andazzo: per esempio riproponendo «Peter Pan» o «Ciao Darwin».
«Certo, a parte che sono umano anch’io e ogni tanto devo pur star tranquillo, ricordiamoci però che Darwin è un mio programma, come il Senso della Vita o come l'avventura da paura di Sanremo o come Tira e molla che feci con Corrado. E, comunque, anche Peter Pan ha avuto bisogno di operazioni complesse: è stato ripulito, colorato, addobbato».
Prendiamo Chiambretti: con quello show di grandi mezzi, va in onda a mezzanotte...
«Giusto. Se fa una “night” a che ora deve andare? Magari più avanti s’inventerà un programma che può essere messo in onda in un’altra ora».
Ma lei qualche volta s’è ammalato d’Auditel?
«No mai. E rispetto alle critiche negative aggiungo che mi vanno bene purché siano rispettose del lavoro di tutti. Mentre trovo che per alcune, tolta l'acrimonia, la bile, l'assenza di autostima e la frustrazione di chi scrive, rimanga solo la punteggiatura!».
A parte i giornalisti cattivi, guardando i dati nudi e crudi?
«Vabbè, “Italiani” (Canale 5, 2001) fu un flop, ma come detto prima, quando uno show va male lo chiudi e basta. Punto e a capo. Si ricomincia».


La maggiore soddisfazione, oltre a Sanremo, è ovviamente «Il senso della vita»...
«Certo, soprattutto perché in casi come questi succede il miracolo che il tuo gusto coincide con quello del pubblico e questo ti fa un enorme piacere».

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