L’invasione delle imprese cinesi mette fuori gioco il made in Italy

La terra italica, più che verde-padano, sta diventando giallo-cinese. A tal punto che persino il New York Times se la ride con un articolo al vetriolo apparso due giorni fa. Il quotidiano prende il fenomeno Prato dove c'è la più alta concentrazione di cinesi di tutta Europa. I cronisti americani scrivono che le aziende italiane hanno gettato la spugna e ormai si sono arresi all'onda lunga della forza orientale in salsa nostrana. Soltanto nella provincia toscana, dove l'80% dell'industria manifatturiera è in mano ai cinesi, si stima un profitto esentasse di milione e mezzo di dollari l'anno. Soldini che poi vengono trasferiti direttamente in Cina e ovviamente non dichiarati al Fisco (italiano). C'è di peggio. Sembra che gli ospiti dagli occhi a mandorla siano diventati, a detta degli americani, più abili degli italiani ad evadere e districarsi nei meandri della burocrazia. Insomma, i cinesi ci stanno espropriando il marchio del Made in Italy in tutti i sensi. Ne sa qualcosa Giuseppe Brienza, presidente dell'Autorità di vigilanza sui lavori pubblici, che conferma: "E' vero, stiamo assistendo ad una vera e propria invasione delle ditte straniere in Italia, cinesi in testa. A Prato noi italiani stiamo per essere espulsi da un settore economico che vantava antiche tradizioni". Le previsioni? "Se non arrestiamo questo fenomeno, del nostro mercato interno non rimarranno che le briciole. E le piccole e medie imprese moriranno". Alle parole seguono gli esempi. Spostiamoci in Val D'Aosta. La compagnia Valdostana delle Acque ha bandito una gara di circa 16 milioni di euro. L'appalto se l'è aggiudicato un'impresa che si è avvalsa dell'aiuto di un'azienda cinese per presentare tutti i requisiti richiesti. La gara è stata vinta, ma l'Autorità di vigilanza ha scoperto un piccolo difettuccio: le ditte italiane non possono farsi aiutare da ditte della Repubblica popolare cinese perché non esistono accordi bilaterali economici con l'Italia. Dunque, questo appalto ( e chissà quanti ne sono stati stipulati) è illegittimo e così l'Autorità di vigilanza ha mandato tutte le carte ai magistrati. Però il tentativo di aggirare le regole nazionali e comunitarie è stato organizzato e realizzato con una disinvoltura disarmante: i responsabili hanno sostenuto che solo in Cina c'è la specializzazione di cui avevano bisogno!
Ma aggirare gli ostacoli burocratici e violare le norme sono comportamenti usuali e spesso tollerati in silenzio. Per esempio, esiste la Black list, nella quale il ministero dell'Economia ha incluso diversi Stati che non possono fare affari con l'Italia se non dietro concessione speciale. Ma nonostante il divieto, appalti per 300 milioni li hanno gestiti imprese che operano in paesi inclusi nella lista nera. E tutto tace. Così come non si fiata su quegli 800 milioni guadagnati in Italia da imprese dei paesi extra Ue che si accaparrano commesse in modo irregolare. Poi c'è il settore delle forniture speciali su cui sta indagando l'Autorità di vigilanza. Qui il giro di affari rasenta i 7 miliardi di euro per circa 3000 appalti assegnati negli ultimi due anni. In questo caso il 50% delle commesse dovrebbero essere affidate a ditte italiane. Ma il condizionale è d'obbligo."Abbiamo avviato un'indagine - spiega Brienza - ma sembra che questo quorum non sia affatto rispettato". Insomma, le ditte prima vincono le gare poi si fanno a rifornire in Marocco o in Tunisia. E le aziende italiane stanno a guardare. "Sarebbe opportuno - sostiene Brienza - un più approfondito accordo istituzionale per tutelare il mercato italiano. Servono regole certe, per evitare truffe legalizzate.

Il settore economico italiano perde miliardi di euro e le nostre aziende diventano sempre meno competitive". Ad oggi del resto, circa 773 appalti per circa tre miliardi di euro sono stati vinti da imprese straniere mentre all'estero le aziende italiane non ottengono lo stesso risultato.

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