L’iPhone come una Moleskine: il mondo attraverso il cellulare

Abbiamo incontrato Giuseppe Brambilla, l'autore di iPop, la prima raccolta di fotografie tutte scattate con iPhone. Per parlare del libro abbiamo deciso di servirci della stessa “arma”: risultato? La prima intervista  interamente realizzata con iPhone Guarda l'intervista

L’iPhone come una Moleskine:  
il mondo attraverso il cellulare
Chi pensa che l'iPhone sia solo un telefono, molto smart ma pur sempre un telefono, probabilmente leggendo questa intervista dovrà ricredersi. Scopriamo insieme a Giuseppe Brambilla, l'autore di iPop, la prima raccolta in Italia di fotografie tutte scattate con iPhone, come si possa creare arte attraverso uno strumento sempre a portata di taschino. Giuseppe non è un fotografo professionista ma da qualche anno ha iniziato a "dialogare" con la realtà attraverso il suo smart-phone.

Giuseppe, quando hai iniziato a usare l’iPhone come macchina fotografica?
Premetto che non sono un fotografo: avevo e ho tuttora una reflex ma non l’ho mai utilizzata. Ho iniziato a scattare fotografie proprio da quando ho l’iPhone, due anni fa. Prima il 3GS poi il 4G,l’iPhone è diventato per me una sorta di notebook, un taccuino su cui registrare e catturare quello che mi colpisce.

Una sorta di taccuino alla Chatwin?
Esattamente: la possibilità di avere sempre a portata di taschino un mezzo come questo mi ha condotto in maniera naturale e direi quasi inconsapevole a osservare la realtà e a dialogare con essa, vedendone anche i minimi dettagli, prima forse sconosciuti o comunque trascurati. Si tratta in effetti per me di una sorta di dialogo costante con il mondo che mi circonda che si offre ai miei occhi: a me non rimane altro che registrarla e l’iPhone è senza dubbio un mezzo comodo e allo stesso tempo preciso per questo scopo.

Come e perché hai deciso di affidarti ad una casa editrice per stampare le tue foto?
E’ successo quasi per caso, come spesso si dice ma per me è andata proprio così: da tempo condivido le mie fotografie sul mio blog http://www.thebshop.it/. Un mio carissimo amico che lavora presso una casa editrice creata e gestita da una cooperativa di disabili, Le Onde, ha visto alcune delle mie fotografie su internet e mi ha proposto di stamparle e raccoglierle in un libro non sapendo ancora che ne sarebbe nata un’avventura unica: iPop è infatti il primo libro fotografico in Italia interamente realizzato con iPhone, cosa che, devo ammettere, mi dà una certa soddisfazione. Il libro, acquistabile online - http://www.editriceleonde.com/cms/catalogo- è uscito a dicembre e ha già registrato un certo successo. Stiamo cercando nuovi canali di distribuzione; gli sviluppi futuri sembrano poter essere notevoli e, devo dire, anche piuttosto inaspettati: al momento non posso rivelare altro anche per scaramanzia ma diciamo che le premesse sembrano molto buone. Incrociamo le dita!

Una decisione controtendenza la tua, quella di passare dal digitale alla carta; come mai?
Il digitale è un elemento onnipresente nella mia opera: è l’ingrediente imprescindibile che mi ha permesso di realizzare iPop. Il rimando al digitale è presente anche nella firma del libro: giuseppe.brambilla evoca inequivocabilmente un url, un indirizzo di posta elettronica. Viceversa, in iPop il digitale si materializza e realizza nella carta che lo fa esistere come oggetto che si può toccare, sfogliare e, perché no, collezionare.

Nel libro, ci sono foto di paesaggi (Milano, Chicago, Spoleto) ma anche, e sono di più, quelle di dettagli di oggetti, apparentemente insignificanti, come per esempio un paio di scarpe, un’insegna stradale. Quale è il filo conduttore che li unisce?
Semplicemente il fatto che Giuseppe Brambilla si trovava in quel posto in quel momento. Mi spiego meglio: come ho già detto, l’iPhone è per me un taccuino, un diario su cui segnare le cose, gli oggetti, le persone che mi colpiscono in un certo momento. Non c’è un motivo estetico che mi spinge a scattare una fotografia o perlomeno non è puramente estetico: quello che mi spinge a immortalare un soggetto piuttosto che un altro è il fatto di voler registrare un attimo, una luce, una sensazione che un soggetto, anche banalissimo come un’insegna stradale, evoca. Per quanto riguarda invece l’attenzione maggiore verso i dettagli piuttosto che ai paesaggi penso sia il mezzo stesso, l’iPhone, che porta naturalmente a concentrarsi sul particolare. In secondo luogo, penso, si tratti anche del punto di vista che uno ha sulla realtà. Nel mio caso un mio carissimo amico- è anche la persona a cui ho dedicato il libro- mi ha insegnato a vedere il mondo con certi occhi: mi ha fatto capire che il Tutto non è altro che la somma di tanti “pezzetti”, senza vedere i quali si perde di vista anche quello che è il risultato finale. Prendiamo, per esempio, la fotografia del Duomo di Milano: quello che più mi incuriosisce di questa monumentale costruzione sono i dettagli, i diversi ricami che danno vita a quel tempio di religiosità e arte quale è il Duomo. In questa fotografia, sebbene si tratti di un paesaggio, ho cercato di tagliare il soggetto secondo una certa angolazione in modo da mettere in evidenza certi dettagli piuttosto che altri e dare al Duomo una prospettiva particolare. Prendiamo poi la fotografia delle scarpe: il soggetto in primo piano si staglia in maniera netta ed estremamente dettagliata dall’ambiente circostante mentre lo sfondo, costituito dall’altra scarpa, risulta morbido e sfocato. Questa fotografia è un esempio lampante di come si possano ottenere effetti straordinari (in questo caso si tratta dello sfocato intenzionale) anche senza un obiettivo da 1000 e più euro ma con un mezzo ormai molto diffuso e abbordabile come l’iPhone.

Nel libro, oltre al dualismo tra paesaggio e dettaglio, sembra esserci anche una sorta di contrasto tra momenti di lirismo (crepuscoli, alberi, foglie) e momenti di incredibile realismo che sfocia quasi in durezza (la ruvidezza della pietra, la sinuosità del legno). Questa dualità riflette diversi tuoi stati d’animo?
Ti rispondo con un esempio: prendiamo la foto dello stop fatta a Concorezzo; una mia amica, guardandola mi ha chiesto se fossi depresso quando l’ho scattata: quello che traspare da questo scatto, per lei, è una sensazione di forte tristezza. Devo dire che non ero affatto né triste né depresso! Ho scattato la foto perché mi aveva colpito la luce che entrava di traverso e sfumava gradatamente fino a diventare buio. Esattamente come per un’altra foto: può non comunicare niente, cosa è se non un semplice lampione? Nessun tipo di lirismo o al contrario durezza mi ha portato a immortalare questo dettaglio cittadino bensì la luce che in quel momento e in quel luogo mi è sembrata particolare, degna insomma di essere catturata nel mio taccuino digitale.

Nel tuo libro si notano dei rimandi a grandi autori della fotografia ma anche della pittura, in particolare Hopper. Sono voluti?
In molti casi devo dire che mi sono reso conto solo dopo aver eseguito lo scatto di una somiglianza impressionante con quadri di Hopper o a scatti, se mi è permesso tanto, di Henri Cartier Bresson. Una somiglianza che mi ha quasi imbarazzato proprio per il fatto di essere sorprendente quanto inaspettata. In altri casi invece devo ammettere che la somiglianza è voluta: è il caso della foto di un paesaggio di Spoleto dove ho cercato intenzionalmente di riprodurre l’ambientazione delle polaroid del grande regista russo Tarkovskij, certo non con gli stessi risultati. Credo, infatti, che quando l’emulazione crea qualcosa di nuovo è positiva. Possiamo dire, quindi, che di maestri che mi hanno ispirato, consapevolmente o inconsapevolmente, ce ne sono, ma sono anche convinto di aver creato qualcosa di nuovo grazie anche e soprattutto al mezzo usato.

Dopo aver realizzato questo libro ti senti un po’ più fotografo, tu che fotografo di professione non sei? Penso che il vero protagonista della fotografia non sia tanto chi esegue lo scatto bensì la realtà stessa: io sono solo un soggetto passivo il cui unico scopo e compito è quello di osservare. L’unico modo per poter mettere in atto il dialogo con la realtà è osservarla e più si osserva, più si impara. Si impara anche e soprattutto ad aspettare: un taglio, un particolare, un colore. Per rispondere alla tua domanda se dopo iPop mi senta un po’ più fotografo, forse sì: mi rendo conto che sto imparando ad aspettare questo attimo. Non è sempre facile ma la pazienza non mi manca così come le idee e la voglia di mettermi in gioco. Spero insomma che iPop sia solo il primo atto di futuri dialoghi con la realtà da catturare nel mio taccuino “smart”.

 

In attesa di altri scatti di Giuseppe, noi ci gustiamo iPop e attraverso queste immagini ci sentiamo tutti un po’ più potenziali fotografi. Insomma, siete pronti a impugnare il vostro iPhone, osservare la realtà che vi circonda e immortalarla nel vostro diario digitale?

Giuseppe Brambilla è nato a Voghera nel 1982.


Ha frequentato il liceo artistico a Milano e si è laureato in Scienze della Comunicazione a Lugano.
Attualmente si occupa di comunicazione per il web in un’agenzia di Milano. iPop è il suo primo libro di fotografie. Sposato con Giulia, vive a Concorezzo.

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