L’ira di Tremonti: «Certi banchieri non fanno l’interesse dell’Italia»

nostro inviato a Cernobbio (Como)

Chi sperava che Giulio Tremonti avesse sotterrato quell’ascia dell’ironia - per non dire di guerra - che nei giorni scorsi aveva prodigamente brandito contro le banche, sarà rimasto deluso. Perché ieri a Cernobbio, proprio all’ultimo atto del Workshop Ambrosetti, mentre già una divisione di auto blu si metteva in movimento, a sorpresa il ministro ha rubato di nuovo la scena. Rincarando la dose e costringendo così i riflettori a riaccendersi. Su di lui.
Ha esordito, Tremonti, rinfocolando la polemica sui bond che portano il suo nome e che, ha ricordato, «hanno un moltiplicatore 10, ovvero a 10 miliardi di titoli corrispondono 100 miliardi di finanziamenti da far arrivare alla piccola e media impresa. Strumenti che non sono stati fatti per le banche, ma per le imprese. E quando le banche dicono “non ci servono e non vanno bene”, dicono cose contro l’interesse del Paese». Non utilizzandoli, comportandosi da «signorotti» che negano agli altri il passaggio su un ponte, le banche «non fanno un favore al governo, ma un maleficio alle imprese». Queste obbligazioni, ha insistito ancora il loro «papà», erano state invece concepite «nell’interesse del Paese, delle imprese, delle famiglie e dei lavoratori, non delle banche».
Quanto poi ai fondi da destinare agli ammortizzatori sociali, mai come ora indispensabili, considerata l’attuale crisi del lavoro, «da parte del governo sono stati messi e ce n’è di riserva una quantità che va oltre l’immaginabile», ha detto il ministro ricordando che «non lasceremo indietro nessuno. Questo in ragione di una scelta giusta: considerare il lavoro e la famiglia le priorità assolute per l’Italia». Il governo ha messo la sua parte, ha chiosato Tremonti, ora le banche mettano la loro.
Tirato di nuovo da una domanda sull’argomento dei bond, ha ricordato che «sono stati chiesti dalle banche e disegnati in Europa come meccanismo e come tasso d’interesse. Ora però sento dire che l’8,5% (il tasso d’interesse, appunto ndr) sarebbe troppo per prendere denaro. Ma non prendo denaro, bensì capitale, cosa totalmente diversa - ha precisato -. Strano quindi che ora le banche dicano che non gli piace uno strumento chiesto da loro».
Tremonti è poi passato a parlare di credit crunch, cioè della chiusura dei rubinetti da parte degli istituti di credito e prima di loro da parte di quelli centrali. Problema allarmante e incubo quotidiano per le imprese che si vedono negare i finanziamenti indispensabili per operare e sopravvivere. O che altrimenti si sentono chiedere garanzie sempre più onerose, impossibili da fornire. Male ormai esteso a tutto il continente, quasi da risultare pandemico.
«Noi vorremmo che alle imprese andasse invece la massima quantità possibile di denaro, mentre assistiamo a una tendenza opposta da parte di tutte le banche europee, dedite piuttosto al credit trade, ovvero a impiegare soldi presi a costo zero. Ma anche i bambini sono capaci di fare trimestrali così», ha ironizzato il ministro. Che ha anche sottolineato come a fronte di «un sistema produttivo italiano fatto al 90-95% da piccole e medie imprese», ci sia «un sistema bancario concentrato in una logica industriale per una quota enorme del mercato». Realtà che però «non corrisponde alle esigenze del Paese. E la crisi lo ha messo in evidenza. Servono piuttosto le banche del territorio, perché il modello McKinsey non è quello adatto all’economia italiana».
Sassolino dopo sassolino, ieri Tremonti è parso insomma volersi liberare di tutti i fastidiosi corpi estranei che aveva nelle scarpe. Lo ha fatto ricordando con evidente vis polemica che «la quantità di denaro che il sistema Europa ha servito a quello bancario corrisponde all’incredibile cifra di 5 trilioni di euro, di cui 1,5 in nazionalizzazioni, una cifra che è pari a tutte le privatizzazioni portate a termine nel Continente in quindici anni, mentre il resto è denaro che Bce e banche centrali hanno servito alle banche».
Quanto agli sgravi fiscali legati alla moratoria per le imprese, Tremonti ha detto che prima che il governo conceda alle banche la deducibilità delle perdite sui crediti, ci dev’essere «l’evidenza empirica» che l’avviso comune sulla moratoria dei crediti delle Pmi abbia effettivamente «dato alle imprese un anno di tregua, un anno sabbatico. L’avviso è stato fatto nella logica del “vedere cammello”», ha esemplificato il ministro. Tema degli sgravi che è stato anche l’occasione dell’ultima battuta.

Stuzzicato su quel «modello bancario alla Putin» usato dal presidente dell’Abi, Corrado Faissola, per definire la visione governativa del credito, Tremonti ha risposto «non commento una cosa così». E quanto agli sgravi, «li chiedano a Putin».

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